L'illusione degli antidepressivi

Sezione riservata alla segnalazione di effetti indesiderati o inefficacia di terapie o interventi diagnostici.

L'illusione degli antidepressivi

Messaggiodi Dr.Ascani il mar mar 02, 2010 8:32 pm

Erano gli anni ’50 quando nacque il primo farmaco antidepressivo, si chiamava imipramina – ancora oggi in commercio – ed era stato scoperto per caso. Sintetizzato negli anni ’40 sperando sulle sue proprietà antistaminiche, era arrivato alla clinica come un debole farmaco antipsicotico, e alla fine aveva rivelato un’attività antidepressiva. Fra incredulità ed entusiasmo aveva creato una classe di composti detti antidepressivi “triciclici”. In seguito utilizzando le conoscenze sul suo meccanismo d’azione, arrivarono i farmaci che agiscono sulla serotonina, noti con la sigla SSRI. La serotonina divenne il mediatore chimico dell’umore e la fluoxetina (nome commerciale più conosciuto Prozac) fu celebrato come “il” farmaco antidepressivo. La “pillola della felicità” ebbe un grande successo nella stampa, ma soprattutto per chi ne deteneva il brevetto ed incassava il prezzo delle vendite. Alla fluoxetina seguirono molti altri farmaci del gruppo SSRI, che si appropriarono di fette di mercato soprattutto quando la fluoxetina divenne un farmaco generico. Contemporaneamente prese vigore un’altra classe di farmaci che seguiva un altro meccanismo d’azione, quello dell’interazione con un altro mediatore chimico, la noradrenalina. Poi cominciarono i primi problemi perché il mercato – ovvero la propaganda – può spingere un farmaco fino ad un certo punto: prima o poi, soprattutto quando si tratta di una malattia grave come la depressione, la verità finisce per venire a galla. In realtà per farmaci antidepressivi c’è voluto molto tempo, perché, pur non trovando impiego per la “malattia” depressione, questi farmaci hanno potuto godere di un mercato molto più ampio. Si tratta di un mercato rappresentato dagli “stati” depressivi, situazione determinata da eventi avversi della vita che non sono malattie nel senso classico del termine. Infatti molti di questi situazioni – ad esempio la perdita di una persona cara, la perdita del posto di lavoro, problemi finanziari – si rimettono a posto da sole con il tempo. Se nel frattempo il medico ha prescritto un farmaco antidepressivo, il merito del risultato verrà indebitamente attribuito al farmaco. I casi positivi trovano sempre una eco sproporzionata alla loro importanza, ma inducono fiducia e perseveranza nel medico che ha fatto la prescrizione. In questi ultimi 10 anni tuttavia crescevano perplessità e pessimismo circa la reale importanza dei farmaci antidepressivi insieme ad una notevole preoccupazione per il continuo aumento delle vendite. Finalmente la “bomba” è scoppiata. Un articolo-rapporto scritto da psichiatri inglesi, canadesi e statunitensi e pubblicato su una rivista internazionale molto selettiva ha determinato una serie di reazioni anche a livello della stampa laica. La pubblicazione è tanto più importante in quanto si basa su tutti i risultati delle ricerche cliniche depositati presso la Food and Drug Administration (FDA), l’organo che negli Stati Uniti presiede alla regolamentazione dei farmaci. Lo studio effettuato si chiama, in gergo meta-analisi e consiste nella raccolta di tutte le ricerche cliniche effettuate con i farmaci antidepressivi che agiscono sulla serotonina in confronto con il placebo (un prodotto inerte). La ricerca consiste nel sommare tutti i risultati “pesandoli” per il numero di pazienti presenti in ogni studio. I risultati possono essere presentati in vario modo: in rapporto all’uso di uno specifico farmaco, oppure globalmente, oppure ancora in rapporto alla gravità della malattia depressiva. I risultati sono molto chiari: le differenze tra i farmaci antidepressivi e il placebo sono molto modesti, al limite della significatività clinica e ciò vale per fluoxetina, venlafaxina, nefazodone e paroxetina. In altre parole, il vantaggio dovuto all’impiego dei farmaci antidepressivi è trascurabile rispetto a quello che si può ottenere con il semplice placebo. Qualcosa di più si ottiene in rapporto con la gravità della malattia, il che indica la mancanza di efficacia in tutte quelle condizioni citate prima e, definite come “stati depressivi”. Questi dati sono diversi dalle analisi fatte precedentemente perché questa volta sono stati presi in considerazione anche i risultati di studi clinici non pubblicati, mentre precedenti analisi avevano esaminato solo gli studi pubblicati. Evidentemente si pubblicano prevalentemente gli studi positivi e si sottraggono all’attenzione dei medici tutti gli studi che non danno i risultati sperati. La nuova indicazione può essere perciò così riassunta: i farmaci antidepressivi di nuova generazione – SSRI – devono essere impiegati solo in pazienti con una depressione molto severa; quindi non c’è alcuna ragione per impiegarli nella grande maggioranza dei casi. Sorge ora spontanea una domanda: come mai sappiamo solo ora che questi farmaci non sono attivi? Che cosa hanno fatto finora le autorità regolatorie, quelle che dovrebbero proteggere i pazienti? Chi rimborserà il Servizio Sanitario Nazionale per tutti i miliardi di euro spesi inutilmente in tutti questi anni? Chi risarcirà gli ammalati che hanno avuto effetti tossici senza aver avuto alcun beneficio? Qualcuno dovrà pur dare qualche risposta!

Fonte:
Silvio Garattini
http://www.marionegri.it/mn/it/pressRoo ... ssivi.html
Dr.Ascani
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Quanto sono efficaci i farmaci antidepressivi?

Messaggiodi Dr.Ascani il mar mar 02, 2010 8:34 pm

Vorrei tornare sulla questione della poca efficacia dei farmaci antidepressivi, che sono tra gli psicofarmaci più prescritti, e anche tra i più costosi. Nel n. 3/2005 di Psicoterapia e Scienze Umane avevo voluto pubblicare un articolo in cui riassumevo una ricerca fatta nel 2002 da uno psicologo americano, Irving Kirsch, il quale aveva dimostrato in modo inequivocabile che gli antidepressivi di nuova generazione sono poco efficaci, avendo un effetto di poco superiore al placebo, cioè all'acqua fresca (il titolo di quell'articolo di Kirsch et al. [2002a] aveva un titolo suggestivo: The emperor's new drugs, "Le nuove droghe dell'Imperatore"). Mi decisi a divulgare questa informazione perché, con mia sorpresa, mi accorsi che pochissimi ne parlavano in Italia, come se vi fosse un imbarazzo generale di fronte a questo dato, una sorta di pudore nel parlarne: sulle riviste di psichiatria non se ne parlava, ai congressi del settore nessuno ne accennava mai, se ne parlavi a un collega lui ti guardava in modo strano, incredulo, e preferiva cambiare discorso quasi come se tu minacciassi una consolidata credenza alla base della sua pratica clinica. La cosa era ancor più strana perché siamo in tempi di Evindence-Based Medicine (EBM), cioè di medicina basata sulle prove scientifiche, che è una sorta di nuova religione che dovrebbe informare la cultura di tutti i medici. Se la ricerca di Kirsch era stata fatta secondo tutti i crismi scientifici, perché non se ne doveva parlare? Uno dei sospetti che avevo era che questa omertà non fosse dovuta solo a resistenze emotive (contraddire una razionalizzazione che rassicurava lo psichiatra nella gestione di pazienti difficili) ma, come vedremo dopo, anche ai forti interessi economici in gioco.

Si potrebbe pensare che la ricerca di Kirsch sia stata sottovalutata perché in fondo era una voce isolata, uno studio non più replicato e quindi passato nel dimenticatoio. Ma non è così, anzi, è esattamente il contrario: non solo, come vedremo dopo, i dati di Kirsch non sono mai stati messi in discussione da nessuno, ma dopo la sua ricerca del 2002 sono stati fatti altri studi, tutti estremamente autorevoli e pubblicati su prestigiose riviste (addirittura molto più prestigiose) che hanno pienamente confermato quei dati (Whittington et al., 2004; Moncrieff & Hardy, 2007; Turner et al., 2008). Dopo accennerò a queste ulteriori ricerche, delle quali non avevo parlato nel mio articolo sul n. 3/2005 di Psicoterapia e Scienze Umane. Prima voglio parlare della originaria ricerca di Kirsch et al. (2002a), anzi, comincio col dire due parole sull'autore perché non è un ricercatore qualunque ma una figura di un certo rilievo nel mondo della psicologia, e una persona interessante per i suoi svariati interessi.

Irving Kirsch, professore emerito alla Università del Connecticut, è nato a New York nel 1943 da genitori ebrei emigrati dalla Polonia e dalla Russia. Negli anni 1960 fu molto attivo nel movimento per i diritti civili e contro la guerra in Vietnam, e dietro richiesta nientemeno che di Bertrand Russell pubblicò un pamphlet che conteneva del materiale contro la guerra che secondo Russell era stato censurato dal New York Times. Prima di diventare uno psicologo, Kirsch lavorava come violinista alla Toledo Simphony Orchestra e aveva suonato in concerti con Aretha Franklin e altri importanti artisti. Da studente di psicologia, nel 1974, aveva prodotto, in collaborazione con la nota rivista umoristica National Lampoon, l'album di canzoni The Missing White House Tapes ("Le audio-registrazioni mancanti della Casa Bianca"), una parodia dei discorsi e delle conferenze stampa del presidente Richard Nixon durante il processo originato dello scandalo Watergate, che portò poi al suo impeachment (questo album ebbe un tale successo che nel 1974 fu nominato finalista per il Grammy Award, il premio per il miglior brano musicale dell'anno negli Stati Uniti, nella categoria Best Comedy Recording). Nel 2004 Kirsch lasciò l'Università del Connecticut per trasferirsi in Inghilterra, all'Università di Plymouth, e nel 2007 all'Università di Hull. Non è possibile qui riassumere tutti i suoi contributi scientifici. Menziono soltanto - anche perché è rilevante per quello di cui parleremo - che è noto per aver formulato e dimostrato empiricamente la "Teoria della aspettativa della risposta" (Response Expectancy Theory), secondo la quale quello che le persone provano dipende molto da quello che si aspettano.

Vengo ora alla ricerca di Kirsch et al. (2002a), e più in generale all'effetto dei farmaci antidepressivi, riprendendo il mio articolo citato prima, "Farmaci antidepressivi nella pratica psichiatrica: efficacia reale", uscito a pp. 312-322 del n. 3/2005 di Psicoterapia e Scienze Umane (è anche su Internet, in PDF, alla pagina http://www.lidap.it/pdf/ArtMigoneSSRI.pdf).

E' fuori dubbio che gran parte di quello che fa uno psichiatra oggi è prescrivere farmaci. E i farmaci sono un'arma potentissima, basti pensare che va ad essi il merito principale dello svuotamento dei manicomi. Ma nella pratica terapeutica quotidiana di patologie tra le più diffuse quali la depressione, che peso hanno in realtà i farmaci?

Come è noto, da circa vent'anni è comparsa una nuova generazione di farmaci antidepressivi, gli inibitori selettivi del reuptake (o ricaptazione) della Serotonina (Selective Serotonin Reuptake Inhibitors [SSRI]), che hanno meno effetti collaterali ma che sono molto più costosi dei precedenti antidepressivi (i triciclici), ai quali sono accomunati da un'efficacia simile o comunque non superiore. Questi farmaci si sono rapidamente diffusi in tutto il mondo anche grazie a grosse campagne pubblicitarie (si ricorderanno copertine di noti settimanali sulla "pillola della felicità", best-sellers come Listening to Prozac [Kramer, 1993], e così via - il Prozac, il primo SSRI ad essere prodotto, è stato uno dei farmaci più venduti nella storia della medicina). Le statistiche di alcuni anni fa parlavano di più di 7 milioni di americani abitualmente in cura con SSRI, e questa cifra oggi è sicuramente aumentata. Consumi altissimi sono presenti anche in Europa e nel resto del mondo, persino tra adolescenti: uno studio dell'Istituto Mario Negri ha dimostrato che in Italia 28.000 giovani sotto i 18 anni prendono antidepressivi, il 75% dei quali sono SSRI; negli USA il consumo di antidepressivi in bambini e adolescenti nel decennio 1987-96 è triplicato, e sarebbero un milione i ragazzi che nel 2000 ne avrebbero fatto uso (non si dimentichi che gli effetti collaterali di questi farmaci nella fascia giovanile sono molto meno studiati, e vi sono dati di ricerca che parlano anche del pericolo di attivazione di idee di suicidio). Se si considera che negli ultimi vent'anni la diffusione degli SSRI ha fatto raddoppiare il consumo di antidepressivi in Italia, il passaggio di denaro dai cittadini alle case farmaceutiche è di proporzioni enormi.

Ma quanto sono efficaci questi farmaci? Non si può certo entrare in questo argomento raccontando aneddoti o esperienze cliniche personali, ma esponendo dati, "evidenze" ben controllate secondo la logica della Evidence-Based Medicine (EBM), cioè guardando attentamente gli studi clinici controllati randomizzati (i cosiddetti Randomized Clinical Trials [RCT]). Gli RCT dovrebbero essere utilizzati dai medici come una guida, un po' come i marinai leggono le previsioni del tempo. Irving Kirsch, che nutriva dei dubbi sulla reale efficacia degli SSRI e da tempo era interessato all'effetto placebo (vedi Kirsch, 1978, 1985, 1990, 1997, 2000, 2003; Kirsch & Sapirstein, 1998; Kirsch & Rosadino, 1993), ha voluto andare a fondo di questo problema e per questo ha la sua ricerca che ha fatto discutere negli ambienti specialistici (Kirsch et al., 2002a). Come ho detto prima, a mio parere non se ne è parlato abbastanza, forse non a caso dati i forti interessi economici in gioco, per cui vorrei descrivere per sommi capi la sua ricerca.

Kirsch e i suoi collaboratori hanno voluto risalire alla fonte delle informazioni utilizzate per l'approvazione degli SSRI negli Stati Uniti. Questo è stato possibile grazie al Freedom of Information Act, una legge americana che tutela il diritto di accesso alle informazioni da parte dei cittadini. Kirsch si è rivolto alla Food and Drug Administration (FDA), l'organismo federale che controlla l'approvazione dei farmaci, e ha chiesto di poter vedere tutti gli RCT sottoposti alla FDA per l'approvazione dei sei antidepressivi SSRI più frequentemente prescritti nella popolazione. Questi sei farmaci erano i seguenti (tra parentesi vi sono i nomi con cui sono stati commercializzati in Italia - data la continua commercializzazione di nuovi prodotti, l'elenco è incompleto): Citalopram (Elopram, Pramexil, Seropram [del Citalopram è stato poi prodotto l'isomero levogiro Escitalopram, commercializzato come Cipralex e Entact]), Fluoxetina (Azur, Clexiclor, Cloriflox, Deprexen, Diesan, Flotina, Fluoxeren, Fluoxin, Grinflux, Prozac, Serezac, Zafluox), Nefazodone (Reseril, non più in commercio perché ha provocato alcuni decessi da danno epatico [il Nefazodone è in realtà un Serotonin Antagonist and Reuptake Inhibitor (SARI)]), Paroxetina (Daparox, Eutimil, Sereupin, Seroxat), Sertralina (Serad, Tatig, Zoloft), e Venlafaxina (Efexor, Faxine [la Venlafaxina è un Selective Serotonin and Norepinephrine Reuptake Inhibitor o SSNRI) (un settimo SSRI, non incluso nella ricerca di Kirsch, è la Fluvoxamina [Fevarin, Dumirox, Maveral], ma ve ne sono altri). La FDA dovette consegnare a Kirsch tutto il materiale che possedeva, e precisamente la documentazione sugli RCT (47 in tutto) sponsorizzati dalle case farmaceutiche allo scopo di far approvare, con una pratica chiamata New Drug Application (NDA), questi sei SSRI. Kirsch e i suoi collaboratori esaminarono attentamente questi 47 RCT e nel luglio 2002 pubblicarono i loro risultati sulla rivista Prevention & Treatment, pubblicata dall'American Psychological Association (questa rivista era interamente on-line, per cui chiunque poteva consultarla, ora non più, si consulta solo tramite le banche dati). La rivista ha poi invitato nove noti psicofarmacologi per discutere criticamente la ricerca di Kirsch, e nessuno ha messo in dubbio questi dati, la discussione verteva solo sulla loro interpretazione.

Va ricordato brevemente, soprattutto per il lettore non medico, cos'è un RCT. Un RCT consiste nel prescrivere a un gruppo di volontari un farmaco di cui si vuole studiare l'efficacia, e a un altro gruppo di volontari un placebo (cioè una sostanza inerte della stessa forma, colore, odore e sapore del farmaco), e poi nel paragonare i risultati di questi due interventi con un'unica scala di valutazione (nel caso di tutti gli studi sugli SSRI era sempre la Scala di Hamilton per la Depressione, per cui il paragone è stato facile). Va aggiunto che le somministrazioni devono essere "in doppio cieco" (double blind), cioè né il paziente né chi somministra il farmaco o il placebo sanno quale è il farmaco e quale è il placebo, altrimenti le aspettative inconsce influenzano il risultato (il doppio cieco serve appunto per controllare l'effetto placebo, che è molto alto in tutte le terapie, si pensi che è stato dimostrato anche in alcune terapie chirurgiche).

Ebbene, cosa hanno trovato Kirsch e i suoi collaboratori? Hanno trovato che il miglioramento dovuto al placebo aveva una dimensione pari all'82%, e quindi che solo il 18% della risposta positiva era dovuta all'SSRI, la rimanente tutta al placebo. Un altro modo di dire la stessa cosa è che solo il 10-20% dei pazienti depressi che migliorano sente l'effetto del farmaco (da cui ne consegue che l'80-90% sente solo l'effetto placebo). Inoltre, anche se la dimensione dell'effetto positivo raggiungeva la significatività statistica, la superiorità del miglioramento dovuta al farmaco era di meno di 2 punti della scala di Hamilton (che è di 50 punti nella versione a 17 item, e di 62 punti nella versione di 21 item usata in molti degli RCT esaminati). Dunque l'effetto dell'SSRI, se è vero che si aggiunge all'effetto del placebo aumentando l'efficacia, lo fa però in un modo "clinicamente insignificante" (per un approfondimento sulla differenza tra "significatività statistica" e "significatività clinica", vedi, tra gli altri: Kukla, 1989; Jacobson & Truax, 1991; Jacobson et al., 1999; Fonagy, 2002, p. 45).

Lo studio di Kirsch insomma mette bene in luce il ruolo imponente dell'effetto placebo degli antidepressivi, cosa che per la verità non era del tutto nuova (si pensi agli studi sull'Iperico [l'"erba di San Giovanni" o St. John's Wort], e anche a certi reperti del noto Collaborative Research Program sulla depressione, lo studio multicentrico sponsorizzato dal National Institute of Mental Health [NIMH] degli Stati Uniti [Elkin et al., 1989], che è probabilmente la più grande e costosa ricerca in psicoterapia mai attuata e che ha prodotto la maggiore quantità di dati).

Kirsch e collaboratori scoprirono però anche che più della metà (il 57%) degli studi finanziati dalle case farmaceutiche allo scopo di dimostrare l'efficacia degli SSRI avevano dimostrato che gli SSRI erano uguali o inferiori al placebo, e gran parte di questi dati non furono mai pubblicati: è stato possibile conoscerli solo grazie all'esame del materiale che la FDA dovette consegnare grazie al Freedom of Information Act. L'esclusione di questi studi crea un importante effetto di distorsione che spesso viene trascurato. Inoltre è stato dimostrato che non vi è un aumento di efficacia parallelamente all'aumento della dose di SSRI, altro dato che depone in favore dell'ipotesi della loro efficacia sostanzialmente come placebo.

Va ricordato che lo studio di Kirsch riporta dati medi, per cui è certamente possibile che un SSRI, anche se poco efficace nella maggioranza dei casi, sia invece molto efficace con determinanti pazienti, ad esempio con depressi gravi. Ma le evidenze contenute nei documenti della FDA contraddicono questa ipotesi e dimostrano che anche i pazienti gravi traggono grande vantaggio dal placebo. Non solo, ma se per un sottogruppo di pazienti la differenza media tra farmaco e placebo fosse superiore a 2 punti della scala di Hamilton, allora ne conseguirebbe che dovrebbe essere meno di 2 punti per i rimanenti pazienti: se ad esempio la differenza fosse di 4 punti per la metà dei pazienti (punteggio che comunque sarebbe ancora molto basso come significatività clinica), allora sarebbe di 0 punti per l'altra metà, dove l'effetto dell'SSRI potrebbe essere addirittura inferiore al placebo (va ricordato comunque che si parla sempre di dati aggregati, per cui non si può escludere che per un determinato paziente l'SSRI funzioni meglio).

Un altro reperto dello studio di Kirsch è che, contrariamente al buon senso, la stabilità della risposta al farmaco non è maggiore di quella al placebo, anzi, all'uso del farmaco seguono maggiori ricadute che all'uso del placebo. Inoltre, non andrebbe sottovalutata del tutto l'ipotesi che la superiorità del farmaco possa essere dovuta semplicemente a un potenziamento dell'effetto placebo: infatti, grazie agli effetti collaterali molti pazienti ad un certo punto possono accorgersi che stanno prendendo il farmaco, e quindi inconsciamente possono aumentare l'effetto placebo (come vedremo dopo, lo studio di Moncrieff & Hardy [2007] ha dimostrato proprio questo).

Nella discussione che è seguita alla ricerca di Kirsch nessuno, come si diceva, ne ha messo in dubbio i risultati. Addirittura alcuni autori (Hollon et al. [2002], della Vanderbilt University) hanno ammesso che quello che aveva scoperto Kirsch era il loro "piccolo sporco segreto" (dirty little secret). La discussione verteva su come interpretare i dati e soprattutto su cosa fare. Vi è chi ha suggerito che si potrebbe continuare a usare gli SSRI, dato che hanno un effetto placebo che non va trascurato e che può essere sommamente utile per tanti pazienti che soffrono. Questo effetto non potrebbe essere raggiunto con placebo espliciti, dato che un placebo è tale se viene spacciato come farmaco (e gli SSRI per di più godono del fattore suggestivo dovuto a una grande e costosa campagna pubblicitaria). Questa logica ovviamente apre più problemi di quanti ne risolva, e soprattutto non è proponibile in un'epoca molto sensibile alla bilancia costi-benefici e che si vorrebbe governata dalla logica della EBM. Già vasti settori della popolazione usano, e con grande profitto, i fiori di Bach o l'omeopatia, solo che, essendo noti placebo, verosimilmente ottengono "solo" l'82% del miglioramento che potrebbe produrre un farmaco. Kirsch suggerisce un'altra possibilità, quella di usare interventi molto meno costosi, come la ginnastica e la "biblioterapia", che hanno un effetto terapeutico dimostrato per la depressione, anche se minimo (quindi non tanto diverso da quello degli SSRI), ma che sommato al placebo può essere grande e che fanno comunque bene (l'esercizio fisico migliora la salute, i libri ampliano le conoscenze in termini di psicoeducazione), senza rischiare di provocare i potenziali effetti collaterali descritti nei foglietti illustrativi degli SSRI (impotenza, diarrea, nausea, anoressia, sudorazione, irritabilità, tremore, perdita di memoria, emorragie, ansia, eccitamento maniacale, disturbi del sonno, attivazione di idee suicidarie, ecc.).

Vorrei aggiungere una ulteriore osservazione, spesso a mio parere non sufficientemente sottolineata: ammettendo pure che gli SSRI siano efficaci, occorrerebbe vedere a chi vengono somministrati nella pratica clinica reale. Gli effetti collaterali di questi farmaci, anche se possono essere sgradevoli, sono però inferiori a quelli degli antidepressivi della generazione precedente (i triciclici ad esempio spesso provocavano secchezza in bocca e una fastidiosa stitichezza), e questo li rende molto maneggevoli (tanto che si può quasi dire che il pregio degli SSRI non sia quello di "fare bene", ma di "non fare male", quindi di lasciar libero spazio all'effetto placebo, un po' come accade per quei tanti farmaci quasi sempre inutili - come le vitamine, i ricostituenti, ecc. - che spesso vengono prescritti, più o meno consapevolmente, a scopo suggestivo o per giustificare la visita medica e relativa parcella). La maneggevolezza degli SSRI, e anche il fatto che sono diventati rimborsabili, ne facilita grandemente l'uso per tantissime sintomatologie caratterizzate da sofferenza psicologica, mali esistenziali, ecc., insomma tutti quei quadri che facilmente vengono etichettati in senso lato come "depressivi" sia da medici che da pazienti (non va dimenticato poi che vengono indicati anche per altre patologie quali panico, disturbo ossessivo-compulsivo, bulimia, ecc., e recentemente anche in psichiatria infantile). La pronta somministrazione di un SSRI, supportata dalla efficacia propagandata dai rappresentanti farmaceutici e nei congressi scientifici (anch'essi, come è noto, tutti sponsorizzati dalle case farmaceutiche) rassicura molto e razionalizza il senso della visita specialistica, facendo tornare a casa il paziente nelle migliori condizioni per essere soggetto al benefico effetto placebo. Insomma, per questa categoria di pazienti (quelli cioè senza Depressione Maggiore in asse I del DSM-IV, o affetti dalla molto più diffusa "depressione caratterologica", in asse II), che sono poi una buona parte dei pazienti che vanno dallo psichiatra - e anche quei 2/3 dei pazienti del medico di famiglia di cui parlava Balint (1956) - sicuramente si può fare l'ipotesi che gli SSRI funzionino sostanzialmente grazie all'effetto placebo.

Dicevo prima che lo studio di Kirsch et al. (2002a) non è rimasto isolato, ma sono state fatte altre ricerche che ne hanno comprovato i risultati. Voglio menzionarle qui brevemente.

Due anni dopo, un gruppo di ricercatori inglesi (Whittington et al., 2004) - di cui faceva parte, tra l'altro, anche Peter Fonagy - volle verificare l'efficacia degli antidepressivi nei bambini facendo una revisione sistematica (così come aveva fatto Kirsch) delle ricerche pubblicate paragonate a quelle non pubblicate, arrivando alle stesse conclusioni. Questa ricerca uscì niente meno che su Lancet, una delle più importanti riviste mediche del mondo, e vinse anche il premio di miglior articolo dell'anno.

Riguardo all'uso degli antidepressivi nei bambini, apro una parentesi per ricordare che Abbass (2006) ha fatto notare che la maggioranza delle misurazioni usate nei sedici studi presi in esame in uno studio di Cheung, Emslie & Mayes (2006) sull'uso degli antidepressivi in bambini e adolescenti mostravano che il farmaco non era superiore al placebo. Dieci di questi sedici studi, tutti finanziati dalle case farmaceutiche, non sono stati pubblicati, e di questi solo uno mostrava una certa superiorità del farmaco rispetto al placebo. Dei sei studi pubblicati, solo quattro mostravano risultati positivi del farmaco. Questo dimostra che uno studio che riporta risultati positivi del farmaco ha sei volte e mezzo più probabilità di essere pubblicato, per cui i medici dovrebbero essere molto prudenti nel trarre conclusioni dagli studi pubblicati: come hanno detto molto efficacemente Melander et al. (2003), qui non si tratta di Evidence Based Medicine, ma di Evidence B(i)ased Medicine (il gioco di parole si riferisce al termine bias, che vuol dire inganno, pregiudizio, difetto nella progettazione di una ricerca che falsifica i risultati). Non solo, ma sono stati fatti importanti studi sulle psicoterapie brevi per bambini e adolescenti (le terapie brevi sono più facilmente studiabili di quelle a lungo termine), le quali sono sicure (non tossiche), cost-effective e preferite dai pazienti (Abbass & Gardner, 2004). Date le controversie sulla pericolosità degli antidepressivi nei bambini, andrebbero preferire le psicoterapie, che potrebbero essere un trattamento di prima scelta e alternativo ai farmaci, dato che le psicoterapie sono efficaci e diminuiscono maggiormente le ricadute rispetto ai farmaci (Ryan, 2005).

Per tornare alle ricerche uscite dopo lo studio di Kirsch et al. (2002a), nel 2007 uscì la review di Moncrieff & Hardy, che ho citato prima, pubblicata sul prestigioso Cochrane Database of Systematic Reviews, che volle verificare quanto negli studi sugli antidepressivi il "doppio cieco" fosse effettivo, cioè quanto i pazienti, conoscendo gli effetti collaterali dei farmaci, potessero accorgersi che stavano assumendo il placebo e non il farmaco e quindi suggestionarsi. Esaminando gli studi (751 pazienti) che usavano un "placebo attivo" (cioè una sostanza che mima gli effetti collaterali dell'antidepressivo ma non è un antidepressivo) emerse che la "dimensione del risultato" (Effect Size) dell'antidepressivo si riduce di più della metà (da 0.39 a 0.17).

Nel 2008 poi è stato pubblicato un ulteriore studio (Turner et al., 2008) che si può dire il più importante di tutti perché è uscito nientemeno che il New England Journal of Medicine, la rivista del settore forse più prestigiosa del mondo (su cui, ad esempio, scrivono i premi Nobel). Ebbene, questo studio ha voluto replicare lo studio di Kirsch et al. (2002a) e anche quello di Whittington et al. (2004), prendendo in esame proprio gli studi depositati all'FDA e arrivando a conclusioni simili, cioè che molti studi che dimostravano la non efficacia degli antidepressivi non erano stati pubblicati, distorcendo quindi i risultati effettivi: dei 74 studi registrati dall'FDA, ben il 31% (3.449 pazienti) non sono stati pubblicati; gli studi che avevano riportato risultati negativi o dubbi, tranne 3 eccezioni, non furono pubblicati (22 studi) o furono pubblicati in un modo che li faceva passare come positivi (11 studi), mentre secondo la letteratura pubblicata risulta che il 94% degli studi sono positivi, contro l'analisi dei dati dell'FDA che mostra che i positivi sono solo il 51%. Questa distorsione ha comportato un aumento della "dimensione del risultato" dei farmaci in media del 32% (da 11% a 69% secondo i singoli farmaci).

Sono stati fatti anche studi sulla efficacia del farmaci antidepressivi a lungo termine, e anche qui è stato dimostrato che funzionano poco o niente. Hughes & Cohen (2009) ad esempio hanno fatto una review sulla efficacia degli antidepressivi SSRI assunti per almeno 10 anni: del campione di 3.901 pazienti solo un quarto ha mostrato un certo miglioramento, un risultato questo che non è migliore di quello del gruppo di controllo che era costituito da 1.160 pazienti che non avevano preso farmaci. Le implicazioni di questi dati per la utilità della terapia di mantenimento (tanto declamata dai rappresentanti delle case farmaceutiche) sono ovvie (per quanto riguarda l'efficacia degli antidepressivi al follow-up, Posternak & Zimmerman [2007] in una meta-analisi hanno trovato che diminuisce progressivamente, in modo peraltro non molto dissimile da quella del placebo).

Kirsch, continuando la sua linea di ricerca, ha pubblicando altri lavori (vedi ad esempio Kirsch & Moncrieff, 2007; Kirsch et al., 2008), e nel 2009 un libro dal titolo The Emperor's New Drugs: Exploding the Antidepressant Myth ("Le nuove droghe dell'Imperatore: esplode il mito degli antidepressivi").

Una pratica psichiatrica basata esclusivamente sull'uso di farmaci non è altro che un aspetto di una più vasta cultura medica altrettanto basata, come Balint (1956) ci ha insegnato, su una concezione antiscientifica della malattia (vedi Migone, 2009), che ignora la psicodinamica dell'insorgenza della sintomatologia e le importantissime implicazioni del rapporto interpersonale (ironicamente, sono proprio gli RCT, bandiera della cultura scientifica, che hanno dimostrato in modo inequivocabile l'effetto placebo, cioè l'importanza dell'influenza del rapÐporto interpersonale). Come ci ricorda Silvio Garattini (2005) dell'Istituto Mario Negri, in un articolo sull'organo della Federazione Nazionale Ordini Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO), purtroppo tutta la medicina subisce l'influenza di questa cultura basata sull'ottimismo esagerato per l'effetto dei farmaci. La formazione che ricevono gli studenti all'università, l'informazione dell'industria farmaceutica e la pressione dei pazienti sono tre forze che si coalizzano affinché questo stato di cose continui. Ogni giorno i medici italiani firmano 5 milioni di prescrizioni farmaceutiche, e 30.000 informatori farmaceutici, in una vera e propria "educazione continua in medicina", cercano di convincere i medici ad usare i loro farmaci non in modo neutrale, ma guidati dall'interesse aziendale il cui scopo è di aumentare il fatturato, non certo di fare beneficenza. Per varie pressioni, i farmaci vengono approvati quando sono ancora "immaturi", cioè quando non sono stati studiati a fondo, ed essenzialmente in rapporto alle tre caratteristiche di "qualità, efficacia e sicurezza", ma senza che vengano fatti studi comparati che dimostrino la loro superiorità rispetto a farmaci già in commercio. Così le case farmaceutiche decantano i propri farmaci sulla base di presunte proprietà minori che nulla hanno a che fare con la loro effettiva utilità. Va detto poi (come hanno dimostrato, tra gli altri, Kirsch et al., 2002a, Whittington et al., 2004, e Turner et al., 2008) che gli studi che non riescono a dimostrare l'efficacia di un farmaco spesso non vengono pubblicati. Uno dei motivi per cui una ricerca che non è riuscita a dimostrare l'efficaÐcia di un farmaco può non essere inviata ad una rivista per la pubblicazione può dipendere dal fatto che ciò va contro gli interessi di chi ha finanziato la ricerca, che quasi sempre è la casa farmaceutica che produce quel farmaco. Può non essere un caso, a questo proposito, che la ricerca di Kirsch, seppure di estremo interesse, non sia stata pubblicata da una rivista di psichiatria, ma da una rivista di psicologia, e per di più non privata ma interamente finanziata dalla American Psychological Association (questa rivista, tra l'altro, un anno dopo l'uscita dell'articolo di Kirsch è stata chiusa appunto perché era troppo costoso il suo mantenimento, e questo nonostante fosse interamente elettronica e quindi già esonerata dai costi della carta, della diffusione, ecc.). Praticamente non esiste al mondo una rivista di psichiatria che non sia finanziata dalle case farmaceutiche, direttamente o tramite la pubblicità, perché i costi sono molto alti, e il direttore di una rivista può non sentirsi a suo agio nel pubblicare una ricerca che colpisce così tanto gli interessi di chi permette la sopravvivenza del proprio progetto editoriale (rarissime sono le riviste, come ad esempio Psicoterapia e Scienze Umane, totalmente indipendenti da presÐsioni economiche di qualche tipo). Questi condizionamenti sono talmente importanti che, come abbiamo detto, è stato dimostrato che i lavori che riportano effetti positivi di un farmaco hanno molta più probabilità di essere pubblicati rispetto a quelli che riportano effetti negativi o nulli, e questo di per sé produce un importante effetto di distorsione. Non a caso recentemente i direttori delle più prestigiose riviste mediche, riuniti nell'International Committee of Medical Journal Editors (ICMJE), in un editoriale congiunto pubblicato simultaneamente su molte riviste, che segue ad una dichiarazione unanime sul bisogno di trasparenza nella ricerca clinica (vedi ad esempio De Angelis et al., 2004, 2005), richiedono che ricercatori e case farmaceutiche registrino in un database internazionale tutte le sperimentazioni cliniche al momento della loro attivazione (cioè non dopo, a seconda dei risultati ottenuti), pena la futura non pubblicazione di queste ricerche. Anche la Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sostiene questo appello, e nell'aprile 2005 ha proposto gli standard minimi che gli autori delle ricerche dovrebbero registrare (vedi il sito Internet http://www.who.int/ictrp/en); negli Stati Uniti si sta pensando addirittura ad una legge che renda obbligatoria questa registrazione in un database del National Institute of Health (NIH) (vedi il sito Internet http://www.clinicaltrials.gov).

Ogni giorno gli italiani spendono di tasca propria 17 milioni di euro per farmaci di dubbia utilità, in molti casi esclusi dal Prontuario Farmacoterapeutico Nazionale (PFN) perché dimostrati inutili. Inoltre spesso viene conosciuto solo il nome commerciale del farmaco, dimenticando il nome generico o equivalente, col risultato che si spendono molti più soldi di quanti se ne potrebbero spendere. La farmacovigilanza poi, almeno in Italia, è ancora a uno stato embrionale, e secondo il Ministero della Salute ogni giorno 100 pazienti in Italia vengono ricoverati per tossicità da farmaci.

Ma, per tornare alla terapia non farmacologia della depressione, sappiamo che non esistono solo la ginnastica e la biblioterapia, esiste anche, come detto prima, la psicoterapia. E anche qui a mio parere troppo spesso, e non a caso, si omette di dire che ormai tutte le ricerche meta-analitiche hanno dimostrato che nella cura della depressione la psicoterapia è superiore ai farmaci. Tra le tante ricerche, cito la review meta-analitica di Wexler & Nelson (1993) sulla terapia ambulatoriale della Depressione Maggiore pubblicata sull'International Journal of Mental Health, che ha dimostrato che la psicoterapia risulta essere nettamente superiore ai farmaci: il 58% dei pazienti trattati solo con psicoterapia mostra un risultato positivo contro il 46% di quelli trattati solo con farmaci, e la percentuale dei successi sale al 64% se la psicoterapia è combinata a farmaci. Non solo, ma la superiorità della psicoterapia aumenta ulteriormente se si considera il numero dei drop-out (cioè dei pazienti che si perdono, che escono dallo studio prima della sua conclusione), che nei casi trattati solo con farmaci è il 26% mentre per i pazienti in psicoterapia il 14% e per quelli in terapia combinata il 28%. La maggiore efficacia della psicoterapia nella depressione rispetto ai farmaci, soprattutto al follow-up, è sottolineata anche da molte altre autorevoli review più recenti (si vedano ad esempio le varie edizioni del Bergin and Garfield's Handbook of Psychotherapy and Behavior Change, l'ultima delle quali, la quinta, è curata da Lambert, 2004; vedi anche Migone, 1996a, p. 198); è ben nota inoltre l'ipotesi che i farmaci antidepressivi e ansiolitici possano indurre una sorta di dipendenza e predisporre a un aumento di recidive e alla cronicità (si vedano ad esempio i lavori di G.A. Fava, 1994, 1995, 2003; per un dibattito, vedi Walsh et al., 2002; M. Fava et al., 2003; Holbrook & Goldsmith, 2003; Portuges, 2003; Moncrieff & Kirsch, 2005).

I risultati degli studi che hanno messo in evidenza la straordinaria importanza dell'effetto placebo non devono essere ignorati, perché fanno riflettere sulla vera natura della psichiatria. Essa è una pratica da cui è ben difficile eliminare l'influenza della persona del terapeuta, per cui questa influenza va studiata e utilizzata nel modo più sofisticato possibile. In fondo, come mi sono espresso una volta, si può dire che la psicoterapia sia Çla disciplina che ha cercato di studiare, scomporre e utilizzare al meglio l'onnipresente effetto placeboÈ (Migone, 2004 p. 70, 2008 p. 27), e l'impresa inaugurata da Freud più di un secolo fa mirava proprio a verificare se e come fosse possibile ottenere risultati migliori e più duraturi di quelli dovuti alla inevitabile suggestione presente in ogni rapporto terapeutico.

Riassunto. Viene discussa la ricerca di Kirsch et al. (2002a) in cui sono stati esaminati tutti i 47 studi clinici randomizzati (RCT) presentati dalle case farmaceutiche alla Food and Drug Administration (FDA) per far approvare i sei più venduti antidepressivi (Inibitori Selettivi del Reuptake della Serotonina [SSRI]) negli Stati Uniti. Questa ricerca ha dimostrato, tra le altre cose, che gli SSRI sono superiori al placebo di meno di 2 punti della scala di Hamilton per la depressione (che è di 62 punti nella versione di 21 item usata in molti di questi RCT). Questa superiorità al placebo, seppur statisticamente significativa, non è clinicamente significativa. Inoltre nel 57% degli studi gli SSRI erano uguali o inferiori al placebo, e gran parte di questi dati non sono mai stati pubblicati. Vengono presentati anche successivi studi che hanno comprovato questa ricerca (Whittington et al., 2004; Moncrieff & Hardy, 2007; Turner et al., 2008). Questi dati vengono discussi all'interno della più vasta problematica del ruolo del rapporto interpersonale nella pratica psichiatrica. [PAROLE CHIAVE: farmaci antidepressivi, Selective Serotonin Reuptake Inhibitors (SSRI), placebo, Kirsch, Randomized Clinical Trials (RCT)]

Abstract. REAL EFFICACY OF ANTIDEPRESSANT DRUGS IN PSYCHIATRIC PRACTICE. Kirsch et al. (2002a) studied all 47 randomized clinical trials (RCT) submitted by pharmaceutical companies to the U.S. Food and Drug Administration (FDA) for approval of the six most prescribed Selective Serotonin Reuptake Inhibitors (SSRI) antidepressants. The mean difference between drug and placebo was less than 2 points on the 21-item (62-point) Hamilton Depression Scale (which is the version used in many of the these RTCs). This superiority to placebo, although statistically significant, was not clinically significant. Furthermore, 57% of the trials funded by the pharmaceutical industry failed to show a significant difference between drug and placebo. Most of these negative data were not published and were accessible only thanks to the Freedom of Information Act. Also other studies confirming this research (Whittington et al., 2004; Moncrieff & Hardy, 2007; Turner et al., 2008) are presented. These data are discussed in light of the wider problem of the roles of interpersonal relationship in psychiatric practice. [KEY WORDS: antidepressants drugs, Selective Serotonin Reuptake Inhibitors (SSRI), placebo, Kirsch, Randomized Clinical Trials (RCT)]



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Fonte:
Paolo Migone
Condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane
http://www.psychomedia.it/pm/modther/pr ... 112-09.htm
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Il boom dei farmaci antidepressivi

Messaggiodi Dr.Ascani il mar mar 02, 2010 8:36 pm

Il popolo italiano sembra aver subito una mutazione. Non è più fatto di gente estroversa, allegra, ospitale; a giudicare dalle vendite dei prodotti farmaceutici antidepressivi, è un popolo di depressi. Le vendite di questi farmaci sono in continuo aumento; l'industria propone una gran quantità di farmaci e spende ingenti somme per farli conoscere ai medici e, attraverso i mass-media, anche ai pazienti. Accanto ai vecchi farmaci "triciclici" già disponibili negli anni Sessanta si sono aggiunti nel tempo farmaci considerati più selettivi e meno tossici. Ne esistono per tutti i gusti: alcuni agiscono solo sulla serotonina, altri solo sulla noradrenalina, altri ancora su tutti e due i mediatori chimici. Le teorie correnti ritengono che l'aumento dei mediatori chimici sopra ricordati rappresenti il meccanismo d'azione attraverso cui si determina un miglioramento della depressione. Come mai così tante vendite? La ragione è semplice: questi farmaci si utilizzano per trattare situazioni che nulla hanno a che fare con la depressione, una importante e grave malattia psichica che richiede adeguate terapie. Succede invece che si trattino con i farmaci anche gli "stati depressivi" che sono tutt'altra cosa. Se qualcuno perde una persona cara, viene licenziato dal posto di lavoro, si trova in difficoltà economiche, è chiaro che non può essere felice e che si senta in condizioni di difficoltà. Tuttavia questo è un evento della vita, una situazione che non ha nulla a che fare con la medicina. Anziché assumere farmaci si dovrebbe attingere alle proprie risorse interiori, alle proprie energie per superare il momento critico. L'assunzione di farmaci antidepressivi può addirittura essere negativa, diminuendo le nostre capacità di reazione. Se si manifesta al medico una situazione di depressione, se ci si sente "un po' giù", i medici meno interventisti prescriveranno un integratore alimentare a base di vitamine, mentre molti medici interventisti sceglieranno uno dei tanti farmaci antidepressivi disponibili sul mercato. Se non lo farà il medico è probabile che un amico o un parente consigli di fare quello che "ha fatto bene anche a me" porgendo magari la scatoletta di prodotto residuato dalla sua esperienza. Sono raramente attivi questi farmaci antidepressivi? Indubbiamente l'opinione generale dei medici è positiva, perché la letteratura scientifica è positiva. In realtà da qualche anno alcuni ricercatori scientifici avevano messo in guardia gli addetti ai lavori dimostrando che sono i lavori scientifici positivi quelli che vengono pubblicati più facilmente, mentre quelli negativi rimangono nei cassetti. Alcune ricerche hanno mostrato che gli studi clinici controllati che riportano un risultato positivo hanno tre volte più probabilità di essere pubblicati rispetto a quelli negativi. Questi inoltre vengono pubblicati in tempi più lunghi. La FDA, l'organismo americano che si occupa delle registrazioni dei farmaci, ha mostrato che, se si valutano solo i lavori positivi, l'efficacia dei farmaci antidepressivi sembra molto più rilevante. Molto recentemente un gruppo italiano in collaborazione con ricercatori giapponesi ha portato un ulteriore apporto alla conoscenza del problema. Questi Autori hanno esaminato tutti i lavori pubblicati e non pubblicati per un totale di 3704 pazienti che avevano ricevuto la paroxetina, un farmaco antidepressivo di largo uso che agisce sulla serotonina, e 2687 pazienti che erano stati invece trattati con un placebo. I risultati sono stati veramente inquietanti perché non vi era alcuna differenza tra farmaco e placebo quando si considerava la durata del trattamento o meglio il numero di pazienti che interrompeva il trattamento per qualsiasi ragione. Il fatto che non vi sia differenza depone per una mancanza di efficacia. Tuttavia per altri aspetti la paroxetina mostrava differenze rispetto al placebo, le differenze erano veramente modeste: per ogni 100 adulti portatori di depressione 53 pazienti hanno mostrato una risposta nel miglioramento della malattia mentre il placebo produceva 42 risposte positive. In totale quindi si devono trattare 100 pazienti perché 11 abbiano un beneficio, ma anche per questi undici il beneficio è molto modesto: statisticamente significativo, ma clinicamente poco utile. Ciò che invece sembra indiscutibile sono gli effetti tossici ed in particolare la maggior tendenza per la paroxetina rispetto al placebo all'ideazione e ai tentativi di suicidio. Perciò le conclusioni sono molto semplici: non facciamo uso improprio di antidepressivi; nel dubbio consultiamo uno psichiatra perché c'è il pericolo che i rischi non siano compensati adeguatamente dai benefici.
N.B.: chi ne vuol sapere di più può consultare lo studio di C. Barbui et al. – Canadian Medical Association Journal, 2008, 178, 296.

Fonte:
http://www.marionegri.it/mn/it/pressRoo ... ssivi.html
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Inefficacia della paroxetina

Messaggiodi Dr.Ascani il mar mar 02, 2010 8:39 pm

Effectiveness of paroxetine in the treatment of acute major depression in adults: a systematic re-examination of published and unpublished data from randomized trials

In conclusion, we found that paroxetine was not superior to placebo in terms of the proportion of study participants discontinuing treatment for any reason; in terms of depression measures, paroxetine exerted a modest antidepressant effect relative to placebo.

Fonte:
http://ukpmc.ac.uk/articlerender.cgi?artid=1242208
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Studi falsati sull' efficacia degli antidepressivi

Messaggiodi Dr.Ascani il mar mar 02, 2010 8:40 pm

Selective Publication of Antidepressant Trials and Its Influence on Apparent Efficacy

ABSTRACT

Background Evidence-based medicine is valuable to the extent that the evidence base is complete and unbiased. Selective publication of clinical trials — and the outcomes within those trials — can lead to unrealistic estimates of drug effectiveness and alter the apparent risk–benefit ratio.

Methods We obtained reviews from the Food and Drug Administration (FDA) for studies of 12 antidepressant agents involving 12,564 patients. We conducted a systematic literature search to identify matching publications. For trials that were reported in the literature, we compared the published outcomes with the FDA outcomes. We also compared the effect size derived from the published reports with the effect size derived from the entire FDA data set.

Results Among 74 FDA-registered studies, 31%, accounting for 3449 study participants, were not published. Whether and how the studies were published were associated with the study outcome. A total of 37 studies viewed by the FDA as having positive results were published; 1 study viewed as positive was not published. Studies viewed by the FDA as having negative or questionable results were, with 3 exceptions, either not published (22 studies) or published in a way that, in our opinion, conveyed a positive outcome (11 studies). According to the published literature, it appeared that 94% of the trials conducted were positive. By contrast, the FDA analysis showed that 51% were positive. Separate meta-analyses of the FDA and journal data sets showed that the increase in effect size ranged from 11 to 69% for individual drugs and was 32% overall.

Conclusions We cannot determine whether the bias observed resulted from a failure to submit manuscripts on the part of authors and sponsors, from decisions by journal editors and reviewers not to publish, or both. Selective reporting of clinical trial results may have adverse consequences for researchers, study participants, health care professionals, and patients.

Fonte:
http://content.nejm.org/cgi/content/short/358/3/252
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Errore nei risultati positivi degli antidepressivi

Messaggiodi Dr.Ascani il mar mar 02, 2010 8:42 pm

Un nuovo studio ha evidenziato che i produttori di antidepressivi come il Prozac e il Paxil non hanno mai pubblicato i risultati di circa un terzo degli studi farmacologici da loro condotti per ottenerne l’approvazione governativa, fuorviando i medici e i consumatori circa la reale efficacia del farmaco.

Negli studi pubblicati, in cui si confrontava l’efficacia dell’antidepressivo rispetto al placebo, circa il 60% dei pazienti cui veniva somministrato il farmaco presentava un significativo miglioramento della depressione, rispetto a circa il 40% di quelli che miglioravano senza assumerlo (pazienti trattati con placebo). Ma se si includono gli studi meno positivi e mai pubblicati nella letteratura scientifica, il vantaggio dell’antidepressivo sul placebo si assottiglia: il nuovo lavoro, pubblicato su The New England Journal of Medicine, evidenzia che i farmaci risultano ancora migliori del placebo, ma con una differenza modesta.

Una precedente ricerca aveva trovato un simile errore statistico nei confronti dei risultati ritenuti positivi per una varietà di farmaci; e molti ricercatori avevano posto in dubbio l’efficacia degli antidepressivi. Questa nuova analisi, che rappresenta una revisione dei dati ottenuti da 74 studi con l’impiego di 12 farmaci, è la più approfondita e aggiornata. E riesce a documentare una grande differenza: mentre il 94% dei lavori con risultati positivi trovarono il modo di giungere alla pubblicazione, di quelli con risultati deludenti o incerti solo il 14% è stato pubblicato.

Questa scoperta probabilmente infiammerà a lungo un dibattito sul modo in cui devono essere riferiti i dati ottenuti dagli studi sui farmaci. Nel 2004, dopo che si venne a sapere che non erano stati pubblicati gli studi con risultati negativi, un gruppo di importanti riviste mediche si trovarono d’accordo nell’interrompere la pubblicazione degli studi clinici che non fossero stati registrati in un database pubblico. Gruppi commerciali, rappresentanti le più importanti case farmaceutiche, annunciarono che le industrie avrebbero iniziato a rilasciare più rapidamente i dati degli studi, sul loro proprio database, clinicalstudyresults.org.

E lo scorso anno, il Congresso ha approvato una legge che ha puntualizzato il tipo di studio e l’accuratezza dell’informazione che deve essere inviata al clinicaltrials.gov, un database pubblico gestito dalla National Library of Medicine. Il sito della Food and Drug Administration (FDA) fornisce un limitato accesso a recenti rassegne degli studi farmacologici, ed i critici ritengono che la navigazione del sito sia un’impresa ardua.

“Questo è uno studio molto importante per due ragioni” ha detto il Dr. Jeffrey M. Drazen, editore del The New England Journal. “Una è che quando si prescrive un farmaco, vorremmo essere sicuri di ragionare con i migliori dati disponibili; voi non comprereste della merce conoscendo solo 1/3 della verità su di essa”.

La seconda ragione è che “si deve avere rispetto delle persone che hanno accettato di sottoporsi alla sperimentazione in uno studio clinico”.

“Queste persone si sono sottoposte ad un certo rischio nel partecipare allo studio, e poi la casa farmaceutica nasconde i risultati?” – si domanda.

Alan Goldhammer, vice presidente per le questioni normative alla Pharmaceutical Research and Manufacturers of America, ha detto che il nuovo studio si è dimenticato di ricordare che l’industria e il governo hanno già preso provvedimenti per rendere più trasparente l’informazione sugli studi clinici. “Il lavoro si basa su dati precedenti il 2004, e da allora noi abbiamo messo a riposo il mito che le aziende hanno qualcosa da nascondere” – ha continuato.

In questo studio, un gruppo di ricercatori ha iniziato con l’identificare tutti gli studi sugli antidepressivi presentati alla FDA per ottenere l’approvazione dell’agenzia dal 1987 al 2004. Negli studi sono stati coinvolti 12.564 pazienti adulti con lo scopo di valutare l’efficacia di farmaci come il Prozac della Eli Lilly, lo Zoloft della Pfizer e l’Effexor della Wyeth.

Per i farmaci approvati più recentemente, i ricercatori ottenevano i dati mai pubblicati dal sito della F.D.A. Per quelli più vecchi, essi sono andati a scovare copie cartacee di studi mai pubblicati tramite colleghi o usando il Freedom of Information Act. Hanno inoltre scritto alle case farmaceutiche che hanno condotto gli studi per chiedere se eventualmente fossero stati pubblicati.

Gli autori hanno trovato che 37 dei 38 studi che l’FDA ha potuto vedere e che avevano risultati positivi erano pubblicati su riviste scientifiche. L’agenzia ha potuto analizzare 36 altri studi con risultati fallimentari o non convincenti, dei quali solo 14 erano stati pubblicati.

Ben 11 di questi 14 articoli “davano l’idea di un risultato positivo” che non trovava però alcuna giustificazione dopo un’approfondita revisione dell’FDA, dice il primo autore dello studio, il Dr. Erick H. Turner, psichiatra ed ex recensore per l’FDA, attualmente impiegato alla Oregon Health and Sciences University e al Portland Veterans Affairs Medical Center. I suoi co-autori sono ricercatori della Kent State University e della University of California, Riverside.

Il Dr. Turner afferma che il riportare, dopo averli selezionati, solo gli studi favorevoli provoca delusione nei pazienti. “Il fatto è che, io penso, le persone che desiderano prendere un antidepressivo dovrebbero essere più guardinghe nell’assumerlo, e non rimanere colpite se non funziona o credere che sia un farmaco sbagliato per loro”.

Per i medici, ha aggiunto “Ora possono smettere di chiederci ‘com’è che questi farmaci sembrano funzionare così bene in tutti gli studi e io non ottengo la stessa risposta?’”.
Il Dr. Thomas P. Laughren, direttore della divisione dei prodotti psichiatrici alla FDA, afferma che l’agenzia si è da molto tempo resa conto che gli studi con risultati favorevoli sono quelli pubblicati con maggiore probabilità nei giornali scientifici. “E’ un problema con cui stiamo combattendo da anni” ha dichiarato in un’intervista. “Non ho alcun problema ad accedere pienamente a tutti gli studi clinici; la questione per noi è come fare a mettere tutto dentro un foglietto illustrativo del farmaco”.

Il Dr. Donald F. Klein, professore emerito di psichiatria alla Columbia, ritiene che i produttori di farmaci non siano i soli ad essere riluttanti a pubblicare risultati non convincenti. Le riviste scientifiche, e anche gli stessi autori, possono lasciar cadere studi che sono deludenti. “Se quelli sono dati che hai conservato privatamente, e non ti piacciono i risultati che ne vengono fuori, insomma, non dovrebbe sorprendere che alcuni medici non presentino questi studi”.

Fonte:
www.nytimes.com
Link: www.nytimes.com/2008/01/17/health/16cnd-depress.html
http://www.ariannaeditrice.it/articolo. ... colo=17123

17.01.08
Dr.Ascani
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Studio rivela: inutili gli antidepressivi.

Messaggiodi Dr.Ascani il mar mar 02, 2010 8:45 pm

La stampa inglese: dalle multinazionali del farmaco dati falsati

Londra, 26-02-2008
"Secondo gli scienziati il Prozac usato da 40 milioni di persone non funziona ". Questo il titolo di apertura dell'edizione odierna del Guardian sotto una grande foto di una pillola del noto antidepressivo che, messo a confronto con un placebo, secondo uno studio citato anche dal Times, in molti casi è inefficace.

Gli antidepressivi non producono effetti clinicamente significativi, fa eco l' Independent, che dedica l'apertura allo studio condotto dall'equipe del professor Irving Kirsch, dell'Università di Hull, i cui risultati sono pubblicati sulla rivista on line "Public Library of Science (PLoS) Medicine". Lo studio, ha precisato il ricercatore, è stato presentato alla FDA (l'ente americano per il controllo sui farmaci) e sarà sottoposto anche alle autorita' regolatorie europee.

Gli antidepressivi come Prozac and Seroxat, stando alla ricerca, inducono miglioramenti "minimi" rispetto al placebo, valutabili in due punti sulla scala Hamilton della depressione, che si compone di 51 punti. Questo e' stato sufficiente perché le molecole in questione ottenessero l'autorizzazione alla commercializzazione, ma, sottolinea l'Independent, in Gran Bretagna non sarebbe dovuto bastare: l'Istituto nazionale per l'eccellenza clinica (Nice) stabilisce che sono necessari tre punti sulla scala Hamilton per stabilire una differenza clinica significativa.

Il Nice peraltro ha approvato la commercializzazione dei farmaci in questione perché si è basato sui dati di sperimentazione pubblicati, da cui risultavano effetti terapeutici molto piu' vistosi. "Stando ai risultati - ha osservato il professor Kirsch - non sembrano esserci grandi motivi per prescrivere gli antidepressivi se non alle persone affette da depressione grave, qualora le terapie alternative non abbiano prodotto effetti. Questo studio solleva gravi interrogativi sul modo in cui vengono concesse le autorizzazioni per i farmaci e sulla divulgazione dei dati della sperimentazione. Insomma, sottolinea l'Independent, sotto accusa ancora una volta sono le multinazionali farmaceutiche, che avrebbero manipolato i dati clinici.

La popolarità degli antidepressivi, introdotti alla fine degli anni '80, è schizzata alle stelle, scrive l'"Independent", dopo le campagne in cui le industrie farmaceutiche assicuravano che si trattava di prodotti sicuri e con minori effetti collaterali rispetto ai vecchi antidepressivi triciclici. Questi antidepressivi sono noti come inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRIs); il più diffuso, prodotto dalla Eli Lilly, era il farmaco più venduto al mondo prima di essere soppiantato dal Viagra. Lo studio, condotto su sei dei più noti antidepressivi, tra cui Prozac, Seroxat, prodotto dalla GlaxoSmithKline, ed Efexor, della Wyeth, mostra che sono efficaci solo su una parte minima delle persone depresse.

Fonte:
http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=78988
Dr.Ascani
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Re: L'illusione degli antidepressivi

Messaggiodi Dr.Ascani il mar mar 02, 2010 8:47 pm

Serotonina e Depressione: Una discrepanza tra quanto pubblicato nella pubblicità e quanto pubblicato nella letteratura scientifica

Negli Stati Uniti i farmaci antidepressivi SSRI (selective serotonin reuptake inhibitor) sono pubblicizzati direttamente ai consumatori [1]. Questa campagne pubblicitarie, altamente efficienti, dirette direttamente ai consumatori (DTCA) si sono abbondantemente basate sull'affermazione che i farmaci di tipo SSRI correggano uno squilibrio chimico causato da una mancanza di serotonina (vedi tabella 1 e tabella 2). Per esempio il sertraline (Zoloft) si è classificato al sesto posto tra i farmaci più venduti negli Stati Uniti nel 2004, con vendite superiori a 3 miliardi di dollora statunitensi [2] sembra dovere, almeno in parte, questo successo nelle vendite alla campagna pubblicitaria, sparsa ovunque, con protagonista la compressa di Zoloft nella miseria della Le ricerche hanno mostrato che la pubblicità su tutta la classe degli SSRI ha portato ad un'espansione del mercato degli antidepressivi [3], e che ora i farmaci SSRI sono tra i farmaci maggiormente venduti nella pratica medica [2].

Data la natura a molti fattori della depressione e dell'ansia e date le ambiguità inerenti alle diagnosi e ai trattamenti psichiatrici, alcuni hanno criticato che la prescrizione in massa di farmaci SSRI sia il risultato di una società oltremodo medicalizzata. A questi sentimenti ha dato voce il Lord Warner, Ministro della Salute del Regno Unito, in una recente audizione “Ho qualche timore che qualche vo noi, come società vogliamo mettere un'etichetta a cose che sono soltanto fondamentale parte della condizione umana” [4]. ha continuato dicendo: “in particolare nell'area della depressione abbiamo chiesto al National Institute for Clinical Excellence [un'organizzazione sanitaria indipendente che fornisce consigli sulle cure e la prevenzione] di indagare su questa area particolare e le loro linee guida sulla depressione consigliano un trattamento non farmacologico per la depressione non grave” [4]. I ragionamenti del Lord Warner, sulla sovra-medicalizzazione, sono esattamente quelli che alcune compagnie farmaceutiche hanno cercato di superare con le campagne pubblicitarie. Per esempio, la pubblicità televisiva dell'antidepressivo sertraline (Zoloft) afferma che la depressione è un grave condizione medica che può essere causata da uno sbilanciamento chimico e che “lo Zoloft lavora per correggere questo sbilanciamento” [5]. Altre campagne di pubblicità dei farmaci SSRI hanno anche affermato che la depressione è legata ad uno sbilanciamento del neurotrasmettitore serotonina e che i farmaci SSRI possono correggere questo sbilanciamento (vedi tabella 2). La domanda pertinente è questa: sono queste affermazioni fatte nelle pubblicità dei farmaci SSRI corrispondenti alle prove scientifiche?

L'ipotesi della Serotonina
Nel 1965 Joseph Schildkraut ha portato avanti l'ipotesi che la depressione fosse associata con i bassi livelli di norepinephrine [6], e in seguito i ricercatori hanno teorizzato che il neurotrasmettitore d'interesse fosse la serotonina [7]. Negli anni seguenti vi furono numerosi tentativi di identificare alterazioni neurochimiche riproducibili nel sistema nervoso di pazienti con diagnosi di depressione. Per esempio i ricercatori confrontarono i livelli di metaboilti sella serotonina nei fluidi celebrospinali di pazienti suicidi clinicamente depressi con quelli di un campione di controllo, ma la letteratura iniziale è stata rimescolata e plagiata con difficoltà metodologiche come la dimensione molto piccola dei campioni e per variabili non controllate che non che confondono. In una recente revisione di questi studi il presidente del Consiglio Medico Tedesco, e i suoi colleghi hanno detto “ le associazioni riportate di sottogruppi con comportamenti suicidiari (come tentativi violenti di suicido) con la bassa concentrazione di CSF-5HIAA [serotonina] sembrano rappresentare una qualche traslazione prematura di quello trovato dagli studi che hanno pecche nella metodologia” [8]. Furono anche fatti dei tentativi di indurre la depressione producendo un abbassamento dei livelli della serotonina, ma questi esperimenti non hanno accumulato alcun risultato consistente [9]. Similmente i ricercatori trovarono che un forte incremento di serotonina, a cui si giungeva con la somministrazione di una forte dose di L-tryptophan, erano inefficaci nel diminuire la depressione [10].

Ogni prova fatta dai ricercatori in questa epoca è fallita nel tentare di confermare una lesione serotinergica in un qualsiasi disturbo mentale e anzi hanno fornito prove significative contro la spiegazione di una semplice carenza di un neurotrasmettitore. La moderna neuroscienza ha invece mostrato che il cervello è enormemente complesso e malamente compreso [11]. Anche se le neuroscienze sono un settore in rapido sviluppo, proporre che i ricercatori possano obiettivamente identificare uno “sbilanciamento chimico” a livello molecolare non è compatibile con il livello dell'attuale scienza. In effetti non esiste neppure un livello scientificamente stabilito come ideale per il “bilanciamento chimico”, rendendo pertanto impossibile l'identificazione di un di uno sbilanciamento patologico. Equiparare l'impressionante recente avanzamento delle neuroscienze con l'appoggio dell'ipotesi della serotonina è un errore.

Mancando prove dirette della mancanza di serotonina in ogni disordine mentale, la vanta efficacia dei farmaci SSRI è spesso utilizzata come prova indiretta dell'ipotesi della serotonina. Tuttavia questo è un modo di ragionare ex juvantibus (cioé di ragionare al contrario per fare assunzioni sulle cause della malattia basandosi sulla risposta ai trattamenti della malattia) è problematico dal punto di vista logico. Per esempio il fatto che l'aspirina curi il mal di testa non prova che il mal di testa sia causato da bassi livelli di aspirina nel cervello. I ricercatori nell'ambito della serotonina del US National Institute of Mental Health Laboratory of Clinical Science hanno detto chiaramente “la dimostrata efficacia degli inebitori selettivi della recaptazione della serotonina ... non può essere utilizzata come prova primaria che la disfunzione sia serotinergica nello studio della patofisiologia di questi disturbi” [12].

Pertanto il ragionamento all'indietro e partire dall'efficacia degli SSRI per presumere la carenza di serotonina, è fortemente contestato. La validità di questo ragionamento diventa sempre meno plausibile quando si considerano i recenti studi che arrivano anche a dubitare dell'efficacia dei farmaci SSRI. Irving Kirsch e i suoi colleghi utilizzando il Freedom of Information Act, ha ottenuto l'accesso a tutti i dati dei test clinici sugli antidepressivi inviati alla Food and Drug Administration (FDA) dalle case farmaceutiche per l'approvazione medica. Quando sono stati ottenuti i dati sia delle prove pubblicate sia di quelle non pubblicate si è che il placebo duplicava circa l'80% della risposta dell'antidepressivo [13]; Nel 57% dei casi di questi studi finanziati dalle casi produttrici non si è riusciti a mostrare una differenza statisticamente significativa tra l'antidepressivo e il placebo inerte [14]. Una recente rassegna di Cochrane suggerisce che questi risultati sono gonfiati rispetto a quelli che utilizzano un placebo attivo [15]. Nel caso di trattamenti di altri squilibri ben studiati, come nel caso della carenza dell'insulina, non si nota un efficacia così modesta e un tasso di risposta così estremamente alto del placebo. Questo pone dei seri dubbi sulla validità dell'ipotesi della serotonina.

Risulta anche problematico per l'ipotesi della serotonina il continuo aumento di ricerche che paragonano gli effetti dei farmaci SSRI con quelli di altri trattamenti che non hanno come obbiettivo specifico la serotonina. Per esempio in una rassegna sistematica di Cochrane non ha trovato nessuna differenza significativa tra l'efficacia dei farmaci antidepressivi SSRI e quella dei farmaci antidepressivi triciclici [16]. In oltre, in prove random controllate, il buproprion [17] e la reboxetine [18] si sono mostrate efficaci esattamente come i farmaci SSRI nel trattamento della depressione, anche se non hanno alcun effetto, a un livello significativo, sulla serotonina. Gli effetti ottenuti in recenti studi randomizzati e controllati hanno mostrato che i risultati ottenuti con estratti della pianta iperico [19] e con dei placebi [20] sono superiori di quelli ottenuti con in farmaci SSRI. L'esercizio si è rivelato utile quanto il farmaco SSRI sertraline in uno studio randomizzato controllato [21]. Le ricerche e le attivit6agrave; di sviluppo delle case farmaceutiche mostrano inoltre una diminuzione del ruolo dato all'intervento con serotinonergici. La Eli Lilly, la casa che produce la fluoxetina (Prozac), ha recentemente messo in commercio la duloxetine, un antidepressivo studiato per interagire oltre con la serotonina anche con norepinephrine. Le prove presentate su ciò sembrano incompatibili con una lesione specifica serotinergica nella depressione.

Anche se i farmaci SSRI sono considerati degli "antidepressivi", in realtà sono approvati dalla FDA come terapia per 8 distinte tipi di diagnosi psichiatriche, che variano dai disordini d'ansia sociale al disordine ossessivo compulsivo al disordine disforico premestruale. Alcune pubblicità dirette ai consumatori (come quelle sui siti web dello Zoloft e del Paxil) promuovono l'ipotesi della serotonina non solo per la depressione, ma anche per alcune di queste altre categorie. [22,23]. Pertanto, affinché l'ipotesi della serotonina si corretta come attualmente presentata, la regolazione della serotonina dovrebbe essere la causa (ed il rimedio) di ognuno di questi tipi di disordini [24]. Questa cosa è improbabile e nessuno ha finora proposto una teoria convincente che spieghi come un singola anormalità neurochimica possa produrre un così vasto numero di manifestazioni nel comportamento.

In breve, non esiste una prova rigorosa a favore della la teoria della serotonina ed invece presente un significativo gruppo di prove contraddittorie. Lontano da essere una linea radicale di pensiero, i dubbi sulla ipotesi della serotonina sono ben riconosciuti da molti ricercatori, compreso alcune discorsi schietti da parte di alcuni famosi psichiatri, alcuni dei quali sono anche degli entusiastici proponenti della medicalizzazione con farmaci SSRI (vedi Tabella 1).

Tuttavia, in aggiunta a quello che questi autori hanno detto a proposito della serotonina, è anche importante guardare a cosa la serotonina non è detto nella letteratura scientifica. A quanto ne sappiamo non vi è neanche un singolo articolo sottoposto a peer-reviewed che possa essere accuratamente citato a sostegno delle affermazioni secondo cui ci sia una carenza di serotonina in un qualsiasi disordine mentale, mentre ci sono parecchi articoli che presentano prove dell'opposto. Inoltre il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM), che è pubblicato dalla American Psychiatric Association e che contiene le definizioni di tutte le diagnosi psichiatriche, non elenca la serotonina come causa di alcun disturbo mentale. Il libro di testo della psichiatria clinica (American Psychiatric Press Textbook of Clinical Psychiatry) si riferisce all'ipotesi della carenza della serotonina come ad un'ipotesi non confermata, affermando che “ulteriori prove non hanno confermato l'ipotesi dell'abbassamento delle monoammine” [25].

Pubblicità ai consumatori di antidepressivi
Contrariamente a quello che la gente di solito crede, la FDA non richiede un'approvazione preventiva della pubblicità. Invece la FDA tiene d'occhio cosa ci è scritto sulla pubblicità soltanto dopo che sono state stampate o che sono state trasmesse [26]. Succede abbastanza frequentemente che all'interno delle campagne pubblicitarie dirette ai consumatori si trovino delle informazioni fuorvianti [27]; Pertanto è molto utile confrontare le pubblicità dei farmaci SSRI con le prove scientifiche di cui si è parlato qui sopra. Queste pubblicità dei farmaci vengono diffuse molto largamente; centinaia di milioni di dollari sono stati spesi per diffondere ampliamente queste pubblicità e uno studio ha mostrato che più del 70% dei pazienti intervistati è risultato esposto alle campagne di pubblicità diretta al pubblico sugli antidepressivi. [28].

Il ruolo dell'FDA
Negli Stati Uniti d'America la FDA controlla e regola le pubblicità dirette ai consumatori. La FDA richiede che le pubblicità “non sia falsa o forviante”e che “le informazioni presenti devono non essere inconsistenti con il foglietto informativo del prodotto” [27]. Le case farmaceutiche che diffondano pubblicità non compatibili con queste richieste possono ricevere lettere di avvertimento dalla FDA ed essere sanzionate. L'equivalente Irlandese della FDA, la Commissione Medica Irlandese, recentemente ha vietato alla GlaxoSmithKline di affermare che la paroxetine corregge uno sbilanciamento chimico perfino nei foglietti informativi dati ai pazienti con il farmaco. [29]. Deve la FDA prendere un iniziativa simile contro le pubblicità dei farmaci SSRI?

Ad esempio, le informazioni sulla prescrizione della paroxetine, che è un tipico farmaco della classe SSRI, affermano che “L'efficacia della paroxetine nel trattamento del disturbo depressivo maggiore, del disordine di ansia sociale, del disordine ossessivo compulsivo, del disordine da panico, dal disordine da ansia generico e dal disordine da stress post-traumatico è presunta essere legata al potenziamento dell'attività serotonergica nel sistema nervoso centrale risultante dall'inibizione della ricattura neuronale della serotonina. Studi a dosi clinicamente rivelanti negli umani hanno dimostrato che la pasoxetine blocca il recupero della serotonina nelle piastrine degli umani.” [30].

In altre parole, il meccanismo di azione della paroxetine non mai stato definitivamente stabilito e rimane non confermato e si tratta solo di un'ipotesi (le informazioni sulla prescrizione affermano che il l'efficacia del farmaco “è presunta essere legata al potenziamento dell'attivit6agrave; serotinergica“ ([30], enfasi aggiunta). Sebbene ci siano delle prove che la paroxetine inebisca la recaptazione della serotonina, non è il significato di questo fenomeno nel miglioramento dei sintomi psichiatrici e tuttora dibattuto [12, 31]. Più importante ancora, le informazioni sulla prescrizione non menzionano una carenza di serotonina nelle persone a cui viene somministrata la paroxetine né afferma che la paroxetine corregge lo sbilanciamento della serotonina. Al contrario le pubblicità rivolte ai consumatori sulla paroxetina cointengono affermazioni che non si trovano nei foglietti informativi del prodotto approvati dalla FDA.

In modo da determinare se le pubblicità veramente rispettano le regole della FDA, è utile consultare il codice delle regole federali Le regole dicono che una pubblicità può, essere ritenuta falsa o fuorviante se “contiene affermazioni a riguardo del meccanismo o del luogo di funzionamento del principio attivo che non sono generalmente considerate come stabilite per vere tramite prove scientifiche da esperti qualificati da un'istruzione scientifica e dall'esperienza senza rivelare che le affermazioni non sono ben stabilite come vere e le limitazioni che hanno le prove portate” ([32], (enfasi aggiunta).

Sembra che sia ammesso affermare che la depressione possa essere dovuta ad una carenza della serotonina, ma, come prescritto dalle regole, soltanto se vengono enunciate le limitazioni che hanno le prove utilizzate a sostegno di tale ipotesi. Nel nostro esame delle pubblicità dei farmaci SSRI, non abbiamo trovato neanche una pubblicità che avesse tale informazione. Al contrario l'ipotesi della serotonina è in genere presentata come una credenza diffusa nella comunità scientifiica, come nel caso della pubblicità dello Zoloft, che afferma a proposito della depressione che “gli scienziati credono che possa essere collegata ad uno sbilanciamento chimico di una sostanza chimica chiamata serotonina.” [33]. I consumatori che vedano questa pubblicità rimangono non informati riguardo le limitazione dell'ipotesi della serotonina (di cui è stata fatta una breve rassegna più sopra).

Inoltre le normative federali, vietano alle pubblicità di includere contenuto che “contenga informazioni o opinioni a favore di un farmaco che prima veniva considerato valido ma che sono state invalidate da informazioni contrarie più recenti e più credibili” [32].

Questo significa che non è consentita una discrepanza tra quanto viene riportato nella letteratura, che è sempre in aggiornamento e che è sottoposta a revisione tramite peer-review, e la pubblicità. Riguardo ai farmaci SSRI vi è una parte sempre più grande parte della letteratura medica che avanza dubbi dull'ipotesi della serotonina, e quanto affermato da questa parte non trova alcun riferimento nella pubblicità rivolta ai consumatori. In particolare molte campagne pubblicitarie dei farmaci SSRI continuano ad affermare che il meccanismo d'azione dei farmaci SSRI sia quello di correggere uno sbilanciamento chimico. Un esempio è quello della la pubblicità della paroxetine“: “Con un trattamento continuo il Paxil può aiutare a ripristinare il bilancimento della serotonina” [22]. Tuttavia, come è spiegato prima, non è mai stata stabilito in modo scientificamente corretto una cosa come il Il messaggio che rimane nei consumatori vedendo la pubblicità dei farmaci SSRI probabilmente è quello che i farmaci SSRI funzionano portando alla normalità i neurotrasmettitori che se ne sono andati via. Questa era quello che si sperava 30 anni fa, ma è una cosa che non è accurata in base alle prove scientifiche dei giorni d'oggi.

La FDA ha inviato dieci lettere di avvertimento ai produttori di antidepressivi dal 1997 [34-43], ma non ha mai citato in giudizio una casa farmaceutica per il motivo qui esposto. Non sono chiari i motivi per cui non abbia mai agito, ma sembra che risulti da una deliberata decisione presa ad un certo livello della FDA piuttosto che da una trascuratezza. A partire dal 2002 uno degli autori di questo articolo (JRL) ha ripetutamente contattato la FDA su questa questione. L'unica sostanziale risposta è stata un'e-mail da una persona che faceva il revisore alla FDA: “Le vostre preoccupazioni sulla pubblicità diretta ai consumatori sollevano un a questione interessante sulla validità delle affermazioni riduzionalistiche. Queste affermazioni sono usate con l'obiettivo di descrivere il presunto meccanismo della azione (o delle azioni) dei neurotrasmettitori ad una frazione del pubblico che ha delle capacità di lettura non superiori al sesto livello” (comunicazione privata 11 aprile 2002).

È curioso che queste pubblicità siano considerate appropriate per chi ha scarse capacità di lettura. Se le cose che stanno attorno agli antidepressivi sono troppo difficili per essere spiegate ad un pubblico generico, allora uno si può chiedere come mai sia possibile che sia permessa la pubblicità diretta al pubblico degli antidepressivi. Tuttavia, al contrario di quanto la FDA sembrerebbe voler affermare, la verità e la semplicità non sono due cose mutamente esclusive. Considerate ad esempio il libro di testo di medicina Essential Psychopharmacology, in cui vi e scritto: “Finora non vi è nessuna prova chiara e convincente che la carenza di monoamine sia responsabile della depressione; cioè non vi è una "reale" carenza delle monoamine” [44]. Questa spiegazione è tanto semplice quanto sono semplici quelle nelle pubblicità delle case farmaceutiche, tuttavia mostrano una realtà ben diversa circa l'ipotesi della serotonina.

Conclusioni
L'impatto che hanno avuto la promozioni, sparse ovunque, dell'ipotesi della serotonina non deve essere sottostimato. Le pubblicità degli antidepressivi si trovano dappertutto sui media Americani e vi sono delle prove emergenti che queste pubblicità abbiano la possibilità di confondere il rapporto tra il medico ed il paziente. Un studio recente di Kravitz ed altri ha trovato che a dei finti pazienti (degli attori che si sono allenati per fingersi pazienti) che si presentavano con i sintomi di un disturbo di adattamento (una condizione per la quale normalmente non vengono prescritti gli antidepressivi) veniva prescritta la paroxetine (Paxil) dal proprio medico, se facevano esplicitamente delle richieste sul Paxil [45]; queste richieste da parte di un paziente qualsiasi potrebbero essere causate dalla pubblicità diretta al pubblico [45].

Quello che rimane non misurato, tuttavia, è quanti pazienti si rivolgono al proprio medico a chiedere aiuto perché la pubblicità degli antidepressivi li ha convinti che soffrono di una mancanza di serotonina. Queste pubblicità presentano un concetto seduttivo e il fatto che i pazienti ora si presentino con autodefinito "scompenso chimico" [46] mostra che la pubblicità diretta al pubblico sta avendo l'effetto desiderato; il mercato sanitario si sta prendendo la forma che è vantaggiosa per le case farmaceutiche. Recentemente si è affermato che la FDA sia più preoccupata nel proteggere l'industria farmaceutica che non della sua missione di proteggere il consumatore statunitense e che i tentativi di rafforzarla siano stati diminuiti [47]. È molto probabile che i pazienti che sono convinti di soffrire per una carenza di un neurotrasmettitore richiedano una prescrizione di un antidepressivo e che possano essere scettici quando un medico li suggerisce un altro tipo di intervento, come la terapia cognitiva-comportamentale [48], basata o meno su prove. Come nel caso di altre popolazioni vulnerabili, i pazienti ansiosi e depressi “probabilmente sono più, suscettibili di essere condizionati dalla pubblicità” [49].

Nel 1998, agli inizi delle campagne pubblicitarie dei farmaci SSRI, Elliot Valenstein professore emerito di Nuroscienze ha fatto un riassunto delle conoscenze scientifiche concludendo che “Quello che i medici e i pazienti stanno leggendo a proposito delle malattie mentali non è per nulla una naturale riflesso di tutte le informazioni disponibili.” [50]. Lo stato attuale della quesitone non fa altro che confermare la veridicità di questa conclusione. Vi è una notevole differenza tra la letteratura scientifica e le affermazioni fatte nella pubblicità dei farmaci SSRI, controllate dalla FDA, e probabilmente non vi è un parallelo tra le due cose.

Riferimenti:

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GlaxoSmithKline (2001 October) Paxil advertisment. Newsweek: 61.


Tabella 1.

Una scelta di citazioni riguardanti la Serotonina e la Depressione

Citazione originale (in inglese)
citazione tradotta (in italiano)

Although it is often stated with great confident that depressed people have a serotin or norepinephrine deficency, the evidence actually contradicts these claim.
Anche se viene spesso affermato con grande sicurezza che le persone depresse abbiano una mancanza di serotonina o di norepinephrine, le prove in realtà contraddicono queste affermazioni.
Professore emerito di Neuroscienze Elliot Valenstein, in Blaming the Brain (1998), in una rassegna delle prove dell'ipotesi della serotonina.

Given the ubiquity of a neurotransmitter such us serotonin and the multiplicity of its functions, it is almost as meningless to implicate it in depression as it is to implicate blood
Visto che i neurotrasmettitori come la serotonina sono ovunque ed hanno funzioni molteplici, è perlomeno senza senso associare questa cosa alla depressione quanto lo sarebbe associarla al sangue.
Autore scienitfico John Horgan, nella suo esame critico della moderna neuroscienza, The Undiscovered Mind (1999)

A serotonin deficency for depression has not been found
Non è stata trovata una carenza di serotonina nella depressione
Psichiatra Joseph Glenmullen, insegnante clinico si psichiatria alla Harvard Medical School, in Prozac Backlash (2000)

So far , there is no clear and convincing evidence that monoamine deficency accounts dor depression; taht is, there is no "real" monoamine deficit
Finora non vi è alcuna prova chiara e convincente che attribuisca un ruolo nella depressione alla carenza di monoamine. Cioè non vi è alcuna "reale" carenza delle monoamine.
Psichiatra Stephen M. Stahl, un un libro di testo utilizzato per insegnare agli studenti di medicina i farmaci psichiatrici, Essential Psychopharmacology (2000)

Some have argurgued that depression may be due to a deficit of NE [norepinephrine] or 5-TH [serotonin] because the enhancement of noradrenergic or serotonergic neurotrasmission improves the symptoms of depression. Hovewer, this is akin to saying that because a rash on ones's arm improves with the use of a steroid cream, the tush must be due to a steroid deficency
Alcuni hanno pensato di poter concludere che la depressione possa essere dovuta ad una carenza di norepinephrine o di serotonina perché un aumento della neurotrasmissione di noradronergici o serotinergici aumenta i sintomi della depressione. Tuttavia questa cosa è dello stesso tipo che dire che siccome un'infiammazione su un braccio migliora con l'uso di una crema steroidea, l'infiammazione deve essere dovuto a una mancanza di steroidi
Psichiatri Pedro Delgado e Francisco Moreno, in "Role of Norepinephrine in Depression", pubblicato nel Journal of Clinical Psychiatry nel 2000

... I wrote that Prozac was no more, and pherhaps less, effective in treating major depression that prior medications ... I argued that theories of brain functioning that led to the development of Prozac must be wrong or incomplete
... Ho scritto che il Prozac non è più efficace, e forse è meno efficace, nella terapia della depressione maggiore dei farmaci precedenti ... concludo che le teorie del funzionamento del cervello che hanno condotto allo sviluppo del Prozac devono esse sbagliate o incomplete.
Peter Kramer, psichiatra della brown University, autore di Ascoltando il Prozac e a cui viene attribuita la popolarità dei farmaci SSRI, in una lettera chiarificatrice al New York Times nel 2002

I spent the first several years of my career doing full-time research on brain serotonin metabolism, but I never saw any convincing evidence that any psychiatric dosorder, including depression, results from a deficiency of brain serotonin. In fact, we cannot measure brain serotonin levels in living human being so there is no way to test this theory. Some neuroscientists would question wheteher the theory is even viable, since the brain does not function in this way, as a hydralic system
Ho passato parecchi anni all'inizio della mia carriera a fare a tempo pieno ricerca del metabolismo della serotonina del cervello, ma non ho mai visto alcuna prova convincente che un qualsiasi disturbo psichiatrico, compreso la depressione, risulti da una carenza di serotonina nel cervello. In realtà non possiamo misurare i livelli di serotonina nel cervello in una persona vivente per cui non vi è nessuna possibilità di controllare se questa teoria sia vera. Alcuni neuroscienziati inoltre metterebbero perfino in questione se una tale teoria potrebbe essere utile, dal momento che il cervello non funziona in questo modo, come se fosse un sistema idraulico.
Psichiatra David Healy, precedente segretario della Associazione Britannica della Psicofarmacologia e storico dei farmaci SSRI, in Let Them Eat Prozac (2004)

We have hunted for big simple neurochemical explanations for psychiatric disorders and have not found them
Abbiamo cercato delle grandiose e semplici spiegazioni neurochimiche per i disturbi psichiatrici e non le abbiamo trovate
Psichiatra Kenneth Kendler co-editore in capo di Psychological Medicine in articolo di rassegna del 2005

Quella qui sopra è una traduzione della tabella presente in http://medicine.plosjournals.org/ ed è una tabella aggiuntiva dell'articolo

Tabella 2.

Una scelta di alcuni testi contenuti nelle pubblicità rivolte al consumatore

Farmaco (principio attivo) (in inglese)
testo estratto dalla pubblicità al consumatore (testo originale in inglese)
testo estratto dalla pubblicità al consumatore (testo tradotto in italiano)

Citalopram
Celexa help to restore the brain's chemical balance by increasing the supply of a chemical messanger in the brain called serotin. Although the brain chemistry of depression is not fully understood, there does exist a growing body of evidence to support thr view that people with depression have an imbalace of the brain's neurotransmitters
Celexa aiuta a ripristinare il bilanciamento chimico nel cervello facendo aumentare la fonte di un messaggero chimico nel cervello chiamato serotonina. Anche se la chimica celebrale del cervello non è compresa in pieno, vi è un crescente insieme di prove a supporto del punto di vista secondo cui le persone con la depressione abbiano uno sbilanciamento dei neurotrasmettitori del cervello

Escitalopram
LEXAPRO appears to work by increasing the available supply of sertonin. Here's how:
The naturally occurring chemical serotinin is sent from one nerve cell to the next.
The nerve cell picks up the serotonin and send some of it back to the first nerve cell, similar to a conversation between two people.
In people with depression and anxiety, there is an imbalance of serotonin - too much serotonin is reabsorbed by the first nerve cell, so the next cell does not have enough; as in a conversation, one person might do all the talking and the other person does not get to comment, leading to a communication imbalance.
LEXAPRO blocks the serotonin from going back into the first nerve cell. This increase the amount of serotonin avaible for the next nerve cell, like a conversation moderator.
The blocking action helps balance the supply of serotonin, and communication returns to normal. In this way, LEXAPRO improves symptoms of depression.
LEXAPRO sembra funzionare incrementando la disponibilità di serotonina. Ecco come:
La serotonina, che è una sostanza chimica naturalmente presente, viene inviata da una cellula nervosa alla successiva.
La cellula nervosa prende la serotonina e ne rimanda indietro una parte alla prima cellula nervosa, in modo simile ad una conversazione tra due persone.
Nelle persone con depressione e ansia, vi è uno sbilanciamento ella serotonina. troppa serotonina viene riassorbita dalla prima cellula nervosa per cui la cellula seguente non ne ha abbastanza; come in una conversazione, una persona può parlare per tutto il discorso e l'altra persona non gli viene dato da commentare, portando ad uno squilibrio nella comunicazione.
LEXAPRO blocca la serotonina ad andare indietro verso la prima cellula nervosa. Questo aumenta la quantità di serotonina disponibile per la successiva cellula nervosa, come un moderatore in ua conversazione.
L'azione di blocco aiuta a bilanciare la disponibilità di serotonina, e la comunicazione ritorna alla normalità. In questo modo, LEXAPRO migliora i sintomi della depressione.

Fluoxetine
When you're clinically depressed, one thing that happened is the level of serotonin (a chemical in your body) may drop. So you may have trouble sleeping. Feed unusually sad or irritate. Find it hard to concentrate. Lose your apetite. Or you have trouble feeling pleasure...to help bring serotonin levels closer to normal the medicine doctor now prescrive most often is Prozac.
Quando sei clinicamente depresso, una delle cose che è successo è che il livello della serotonina (un componente chimico del tuo corpo) può essersi abbasso. Pertanto puoi avere problemi a dormire. Ti senti stranamente triste o irritato. Trovi che hai problemi a concentrarti. Perdi il tuo appetito. O hai problemi a provare piacere ... per aiutare a portare i livelli di serotonina più vicini al normale il farmaco che attualmente il medico prescrive maggiormente è il Prozac.

Paroxetine
Chronic anxiety can be overwhelming. But it can also be overcome. ... Paxil, the most prescribed medication of its kind for the generalized anxiety, works to correct the chemical imbalance belived to cause the disorder
L'ansia cronica può essere molto difficile da superare Ma può comunque essere superata. ... Paxil, il farmaco più prescritto del suo genere per l'ansia generalizzata, serve a correggere lo sbilanciamento che si crede essere la causa del disordine.

Sertraline
While the cause is unknown, depression may be related to an imbalance of natural chemicals between nerve cells in the brain. Prescription Zoloft works to correct this imbalance. You just shouldn't have to feel this way anymore
Anche se la causa non è nota, la depressione può essere associata a una squilibrio di sostanze chimiche naturali tra le cellule nervose del cervello. Il farmaco Zolft serve a correggere questo squilibrio. Non devi proprio continuare a sentirti in questo modo mai più.

Quella qui sopra è una traduzione della tabella presente in http://medicine.plosjournals.org/ ed è una tabella aggiuntiva dell'articolo

Nota: Traduzione in italiano dell'articolo Serotonin and Depression: A Disconnect between the Advertisements and the Scientific Literature di Jeffrey R. Lacasse, Jonathan Leo, pubblicato in PLoS Medicine, testo pubblicato secondo la licenza creative common (tipo cc-by), questo testo (la traduzione) è pubblicato con la stessa licenza. Maggiori informazioni sulla lilcenza si trovano dopo la traduzione nella sezione licenza.

Nota del traduttore: questa traduzione è al momento soltanto in uno stato di bozza. L'articolo originale è stato curato nei dettagli e sottoposto a revisione. Tuttavia questa traduzione non è ancora stata sottoposta a revisione. Non si fornisce pertanto nessuna garanzia sull'esattezza della traduzione. Siete pregati di rivolgervi alla versione originale in inglese se avete bisogno di un testo sottoposto a revisione.

Serotonina e Depressione: Una discrepanza tra quanto pubblicato nelle pubblicità e quanto pubblicato nella letteratura scientifica

Jeffrey R. Lacasse, Jonathan Leo*
Jeffrey R. Lacasse lavora all'Università dello Stato della Florida al college per la formazione dei lavotratori sociali, Tallahassee, Florida, United States of America. Jonathan Leo lavora presso al Lake Erie College of Osteopathic Medicine, Bradenton, Florida, United States of America.
Conflitti d'interesse: Gli autori dichiarano che non esistono conflitti d'interesse e che non ricevono fondi o denaro per questo lavoro.
Data pubblicazione [dell'originale in inglese]: 8 novembre 2005
Copyright: © 2005 Lacasse and Leo. Questo è un articolo distribuito con accesso libero secondo i termini della licenza Creative Commons Attribution License, che permette un uso non ristrettom la ridistribuzione e la riproduzione in ogni mezzo purché siano citati gli autori e la fonte originali.
Abbreviazioni: DTCA, direct-to-consumer advertising (Pubblicità diretta ai consumatori); FDA, Food and Drug Administration (amministrazione per il controllo del Cibo e dei Farmaci); SSRI, selective serotonin reuptake inhibitor (Inebitori selettivi del recupero della serotonina)
Citazioni (come citare l'originale inglese di quest'articolo): Lacasse JR, Leo J (2005) Serotonin and Depression: A Disconnect between the Advertisements and the Scientific Literature. PLoS Med 2(12): e392
*To whom correspondence should be addressed. E-mail: jleo1@tampabay.rr.com

Licenza
I testi presi da altre fonti si intendono presi per finalità scientifiche e di diffusione scientifiche. Tutti i marchi appartengono ai rispettivi proprietari e sono citati solo per finalità scientifiche e di diffusione

Fonte:
http://www.nopsych.it/serotonina-e-depr ... etteratura
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Nel rapporto osservasalute 2009 italiani depressi

Messaggiodi Dr.Ascani il gio mar 18, 2010 10:47 am

L’“Osservasalute” nell’edizione 2009 presentata ieri racconta che il sistema sanitario regge nonostante i tagli, ma che il già drammatico gap tra nord e sud si amplia ulteriormente con regioni come la Campania, la Calabria, la Puglia e la Sicilia che registrano un aumento nell’incidenza delle malattie cardiovascolari e dei tumori legate, spesso, a un deteriorarsi degli stili di vita.

C’è anche una notizia agghiacciante: il consumo di antidepressivi è più che triplicato dal 2000 al 2008, registrando infatti un aumento del 310 per cento. I redattori del rapporto legano questa follia a un aumento della depressione, a una maggiore attenzione al disagio psichico e, persino, alla crisi economica, ma la sostanziosa verità è un'altra.

Gli antidepressivi in mano ai medici di base senza fornire loro un avvertimento preciso: maneggiare con cura. Non voglio dire che i dottori di famiglia abusino colpevolmente di questi farmaci, ma certamente, visti i numeri delle prescrizioni, ne sottovalutano l’impatto sociale non meno degli effetti collaterali, che ci sono e sono importanti.

I dottori sono assilati da un’umanità che ha bisogno di conforto e attenzione più che di tac o medicine, hanno gli studi pieni e spesso non sanno che pesci pigliare. Basta un attimo di distrazione o di sfinimento per scrivere quel brand sulla ricetta; il paziente se ne va contento e loro tirano il fiato.

Senza contare che un marketing da guerra nucleare ha convinto tutti che bastava inghiottire una pillola per dimenticarsi dei propri dolori e persino dei propri piccoli dispiaceri. A tutti piace credere nelle bacchette magiche e bisognerebbe che qualcuno (magari le autorità sanitarie che devono tenere a bada la salute degli italiani) picchiasse in testa agli spacciatori di illusioni.

Molti e autorevolissimi studi hanno dimostrato, però, che il vero effetto degli antidepressivi, per le depressioni lievi e i quotidiani malumori (che soli giustificano le vendite record) è un effetto placebo. Come dire: ci fanno stare meglio per il solo fatto di inghiottirli. È il gesto, non la molecola, in questo caso, a fare il lavoro. Perchè allora pagare tanti milioni di euro che potrebbero essere meglio impiegati?

Fonte:
http://www.saluteme.it/notizie/salute/1 ... ressi.html
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Re: L'illusione degli antidepressivi?

Messaggiodi Dr.Ascani il ven mag 04, 2012 7:29 pm

Gli studi dimostrano che non sono più efficaci del placebo, ma comportano gravi rischi per la salute.

Healthcare Finance News –di Stephanie Bouchard, co-direttrice

"È come la storia del re nudo, e le persone stanno iniziando a vederlo" — Robert Hedaya, medico

Gli spettatori di una trasmissione di "60 Minutes" di febbraio sono rimasti scioccati nell’apprendere che alcuni studi dimostrano che gli antidepressivi, nel complesso, non sono più efficaci del placebo.

Questa rivelazione sugli antidepressivi – che sono tra i farmaci più venduti e maggiormente prescritti nel mondo occidentale – possono apparire nuove ad alcuni; ma gli studi condotti dal Dr. Irving Kirsch (Direttore associato del programma che si occupa degli studi sul placebo presso il Beth Israel Deaconess Medical Center e la Harvard Medical School) e colleghi hanno fatto aprire gli occhi e attirato l'attenzione dal 1998. Il che solleva la domanda: gli studi di Kirsch hanno avuto un qualche impatto sulle vendite di antidepressivi e/o sui modelli di prescrizione dei medici?

Quando queste domande sono state poste dalla Healthcare Finance News, l'industria farmaceutica ha risposto col silenzio. In compenso, la IMS Health, un'azienda di servizi e analisi professionale per il settore sanitario, tra cui l'industria farmaceutica, ha presentato i dati di mercato sugli antidepressivi tra il 2006 e il 2011.
Questi mostrano che il totale di dollari per la vendita di antidepressivi sono diminuiti dal 2006 e il numero di prescrizioni erogate è cresciuto. Lo scorso autunno, i centri per il controllo delle malattie e prevenzione hanno rilasciato numeri che mostrano che l’uso di antidepressivi è cresciuto del 400% dal 2005 al 2008: circa l'11% degli americani assumono antidepressivi. Sembra dunque che studi di Kirsch sugli antidepressivi e placebo abbiano avuto scarso impatto, se ne hanno avuto, sul mercato.

"Penso che parte del problema sia il fatto che, molti anni fa gli psichiatri usassero fare psicoterapia," ha detto Kirsch, direttore associato del programma di studi sul Placebo e dell'incontro terapeutico della Harvard Medical School. "Una delle cose accadute negli ultimi decenni è che l’uso della psicoterapia è diminuita sempre più, finchè la psichiatria è diventata unicamente la professione per la prescrizione di farmaci."

"A parte il farmaco, non c'è nessuna risposta per questi medici", dice l’ex farmacista Tim Dannehy, "Che cosa è cambiato? La vecchia abitudine di sedersi col paziente e parlare con lui per un'oretta cercando di capire qual è la fonte del loro problema di insonnia o la fonte della loro depressione, quella, non esiste più. Ora c’è soltanto una visita dai 10 ai 15 minuti in ufficio e un “Ti scriverò la prescrizione perché è l'unica risposta che c’è ora."

Le tendenze in psichiatria, come l’uso di antidepressivi per curare la depressione, sono cicliche, dice Robert Hedaya, medico, fondatore del Centro Nazionale per la Psichiatria Globale. Nonostante studi come quelli di Kirsch possano sembrare non avere un impatto, essi fanno parte di quel ciclo storico. "Ogni 50 anni circa si verifica lo sviluppo di nuove tecnologie sostenute da studi, di cui la gente si entusiasma sul serio quindi, circa a metà di questo ciclo, sorgono domande e verso la fine del ciclo tutti dicono "Oh, non funziona quasi mai” e circa a quel punto qualcun altro dice “Oh, abbiamo questa nuova cosa e gli studi al riguardo sono eccezionali”. E le persone ricominciano ad eccitarsi, ci si arricchiscono e andiamo attraverso tutto il ciclo di nuovo."

Aggiungete a questo ciclo i gravi rischi per la salute associati all'uso di antidepressivi ed è inevitabile che la mania per gli antidepressivi finirà. "È’ come il re che è nudo, e la gente inizia ad accorgersene".


Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani raccomanda di informarsi attentamente, di non accettare facili diagnosi psichiatriche sia per se stessi che per i propri figli, ma richiedere accurate analisi mediche e richiedere l'applicazione del consenso informato secondo il Codice di Deontologia Medica art. 33, 34 e 35.

Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani onlus
Email info@ccdu.org
http://www.ccdu.org


Fonte Articolo:
http://www.healthcarefinancenews.com/ne ... epressants
http://www.laleva.org/it/2012/05/la_fin ... ssivi.html
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