RICERCA SCIENTIFICA OMEOPATICA

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Omeopatia efficace nelle problematiche allergiche

Messaggiodi Dr.Ascani il mar dic 16, 2008 12:22 pm

Le sindromi allergiche di tipo respiratorio costituiscono sempre più un'area di intervento ideale per l'omeopatia. Uno studio osservazionale condotto per più di due anni da un ricercatore francese, Colin, su un campione di 147 pazienti trattati omeopaticamente riporta un elevatissimo numero di successi; nello studio, recentemente pubblicato su Homeopathy, i pazienti sono stati sottoposti al trattamento di tipo pluralista, utilizzando soprattutto rimedi quali Lycopodium, Pulsatilla e Sulphur, saltuariamente accompagnati dall'isoterapico Hystaminum; quattro erano i gruppi oggetto di approfondimento, costituiti da allergici con sintomatologia di tipo ORL e di tipo polmonare, ognuno dei quali ulteriormente suddiviso tra adulti e pazienti pediatrici.
Di tutto il gruppo sottoposto a terapia omeopatica, solo in due casi è stato registrato un peggioramento, mentre in quattro pazienti la situazione è rimasta immutata; in tutti gli altri è stato riscontrato un miglioramento con riduzione del trattamento convenzionale (6 casi) o addirittura con la sua interruzione (31 casi); nel raggruppamento più numeroso, costituito da 86 casi (15 pazienti, pur dichiarati come "allergici", non hanno mostrato alcun tipo di sintomatologia), si è verificata la totale scomparsa della sintomatologia allergica, anche se il paziente era obbligato a continuare il trattamento omeopatico. Sul piano più "tecnico", la scelta dei rimedi è stata condotta, afferma Colin, seguendo l'indicazione che prevede la somministrazione di un policresto, un isoterapico (Hystaminum) e un rimedio che, di volta in volta, mostrava caratteristiche anti-psoriche oppure anti-sicotiche.

Fonte:
Homeopathy, 2006, 95, (2), 68
Articolo di di Antonella Bondi
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Sepsi grave

Messaggiodi Dr.Ascani il mar dic 16, 2008 12:50 pm

Negli USA tra 70.000 e 300.000 pazienti ogni anno sono affetti da sepsi grave. La mortalità rimane purtroppo alta, nonostante lo sviluppo di molte nuove strategie terapeutiche. Lo scopo di uno studio pubblicato su Homeopathy è quindi stato quello di valutare se l'omeopatia fosse capace di influenzare il recupero nel tempo di pazienti affetti da sepsi severa.
La ricerca clinica è stata condotto in Austria, presso il Dipartimento di Medicina Interna dell'Università di Vienna, dopo l'assenso del comitato etico. Il Dipartimento si è avvalso della consulenza dell'Istituto di Omeopatia di Graz e sono stati paragonati due gruppi di pazienti: 35 verum e 35 placebo con analoghe condizioni di salute. La sopravvivenza è stata valutata dopo 30 e 180 giorni. Il gruppo verum è stato trattato con la somministrazione di alcuni medicinali omeopatici somministrati alla posologia di 5 granuli sciolti in 200 cc di acqua, somministrati due volte al giorno per l'intero periodo dell'osservazione. Dopo 30 giorni di terapia la sopravvivenza nei due gruppi di pazienti era analoga, ma al 180° giorno è stata osservata una percentuale di sopravvissuti nettamente maggiore nel gruppo trattato con omeopatia. Infatti, sono sopravvissuti il 78% dei pazienti nel guppo verum e solo il 50% nel gruppo placebo.
I rimedi omeopatici maggiormente prescritti sono stati: Apis mellifica, Arsenicum album, Baptisia, Bryonia alba, Carbo vegetabilis, Crotalus, Lachesis mutus, Lycopodium clavatum, Posphorus e Pyrogenium.

Fonte:
Homeopathy, 2005, 94, (2), 75
Articolo di Simonetta Bernardini
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Lycopodium 30CH protegge il topo dal tumore al fegato

Messaggiodi Dr.Ascani il mer dic 17, 2008 3:39 pm

Un ottima rivista, Molecular and Cellular Biochemistry, ospita molto recentemente un lavoro realizzato dall'Università di Kalyani, India.

Vediamo di cosa si tratta e quali riflessioni se ne possono trarre. Il azo dye -para-dimetilaminoazobenzene(p-DAB) è una sostanza molto usata come colorante e lucidante di diversi cibi secchi. E' nella lista dei carcinogenetici del IARC (International Agency for Research on Cancer), nel gruppo 2 B. Il fenobarbital, utilizzato come anticolvulsivante, è un potente potenziatore dell'effetto cancerogeno del p-DAB. Topi sani della razza Swiss albino, sono stati divisi in 5 gruppi ed essi sono stati tutti quanti nutriti con lo stesso cibo. Nel gruppo due al cibo è stato aggiunto alcool, nel gruppo 3: p-DAB+ fenobarbital, nel gruppo 4: p-DAB+ fenobarbital+ alcool, mentre nel gruppo 5 p-DAB+ fenobarbital+ Lycopodium 30 CH sciolto in alcool e somministrato come 1 goccia del prodotto due volte al giorno fino al momento del loro sacrificio che è avvenuto dopo 7, 15, 30, 60, 90 e 120 giorni dall'inizio della ricerca.
Tutti i topi sono stati sottoposti dopo il sacrificio a indagini citologiche riguardanti: aberrazioni cromosomiche, micronuclei , indice mitotico, anomalie della testa degli spermatozoi, aspetto del fegato e valutazione di altri markers tumorali. Dei 210 topi studiati, 54 si erano ammalati di tumore del fegato. Tutti i topi nutriti con p-DAB+fenobarbital+ alcool hanno sviluppato tumore del fegato con molte modularità tumorali dell'organo dopo 60 giorni. Il gruppo di topi che aveva ricevuto p-DAB+fenobarbital+alcool+lycopodium ha manifestato o non sviluppo di tumore o sviluppo di tumore ma con meno nodularità. Ugualmente, nel gruppo trattato anche con Lycopodium, sono state osservate un numero ridotto di mitosi e un minor numero di anomalie delle teste degli spermatozoi. Ma anche l'incremento delle transaminasi, della fosfatasi alcalina è stato più contenuto nel gruppo Lycopodium. Nel contempo, nello stesso gruppo trattato con Lycopodium, si è osservato un aumento del livello di glutatione ridotto che ha un'azione protettiva regolando le proliferazioni cellulari e le difese della cellula.
Gli Autori si domandano come sia possibile che diluizioni extramolecolari di Lycopodium prive di ogni ipotetica molecola possano funzionare. Khuda-Bukhsh propone l'ipotesi che Lycopodium possa influenzare qualche gene. Nell'esperimento riportato, per esempio, tutti i markers citogenetici e biochimici testati sono sotto l'influenza di uno specifico meccanismo regolatore genetico. Un'altra riflessione espressa dagli autori è che il fegato è un target critico del tratto gastrointestinale ed esso è pertanto un importante target di farmaci e sostanze chimiche che possono generare tossicità in esso. Così, un'azione detossificante potrebbe avere un notevole importanza di fronte alla resistenza a questi agenti patogeni. Dunque, qualunque medicinale che possa antagonizzare gli effetti epatossici può diventare un buon candidato per una terapia di supporto in molte forme di malattia del fegato incluso il cancro. Pertanto, anche Lycopodium 30CH potrebbe, se altri studi supporteranno i dati, essere raccomandato nella terapia del tumore.
Questi i contenuti dello studio ed ora, tra le tante riflessioni che si possono trarre dalla lettura di questo sorprendente lavoro di ricerca, due mi appaiono fondamentali: la prima riflessione è che più medicinali omeopatici, hanno, come Lycopodium in questo caso, dimostrato di possedere una propria "autonomia terapeutica" che prescinde dalla regola della similitudine omeopatica, almeno nella sua accezione corrente e, dunque, prescinde dal metodo omeopatico utilizzato per la loro prescrizione. Questa (indubbia) farmacologia omeopatica deve fare riflettere, particolarmente coloro che spendono fin troppe energie per affermare la supremazia di una tecnica prescrittiva su un'altra , quando non addirittura la unica validità di una unica tecnica prescrittiva del medicinale omeopatico. La seconda riflessione è che, per quel poco che oggi sappiamo dei geni e della loro attività, non sembra possibile escludere una sorta di "comprensione", di "dialogo" tra il nostro sistema genetico e le dosi, molecolari o extramolecolari, dei farmaci omeopatici. Cento anni di indagini dedicate tutte alla farmacologia delle dosi ponderali, anzi, più spesso all'azione delle overdose di farmaco hanno prodotto la nostra farmacologia convenzionale. Speriamo che nei prossimi anni si avviino anche ricerche sulla farmacologia delle piccole dosi, un mondo che, è indubbio, possiede molte ulteriori risorse terapeutiche.

Fonte:
Molecular Cell Biochem, 2006, 285, (1-2), 121
Articolo di Simonetta Bernardini
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Soluzioni ultradiluite di istamina attivano i basofili

Messaggiodi Dr.Ascani il mer dic 17, 2008 3:59 pm

Instancabile il lavoro del Gruppo di Ricerca Internazionale sulle proprietà farmacologiche delle diluizioni di istamina. L'ultimo lavoro pubblicato è del 2004, gli autori della sperimentazione provengono da diverse università europee (in particolare: Bruxelles, Belfast, Firenze, Parigi e Utrecht). "La pubblicazione di questo ultimo lavoro di ricerca è stata una vera e propria odissea", come ha affermato di recente lo stesso Prof. Mannaioni, Direttore del Dipartimento di Tossicologia dell'Università di Firenze e coautore delle ricerche; "in effetti avevamo ipotizzato che vi fossero state oggettive difficoltà, dal momento che, come si evince dalla lettura della pubblicazione, la data del primo invio al Board della rivista è del dicembre 2002. Peraltro, la difficoltà di far accettare lavori riguardanti l'omeopatia da parte di riviste della medicina accademica è fenomeno ben conosciuto e ascrivibile alla ritrosia che le riviste mediche di area convenzionale manifestano verso la pubblicazione di ricerche sull'omeopatia".
In questo lavoro il fenomeno della influenza esercitata sulla degranulazione dei basofili ad opera di diluizioni molto elevate di istamina (diluizioni comprese fra 10-30M e 10-38M, di fatto extramolecolari) è stata confermato da tutti i centri universitari che hanno partecipato allo studio. Con tre differenti tipi di esperimenti, tutti realizzati con tecnica in cieco e approccio multicentrico, condotti in ben nove laboratori internazionali, è stato dimostrato che alte diluizioni di istamina possono determinare una inibizione della degranulazione dei basofili
; tale fenomeno è reso reversibile dall'aggiunta alla soluzione di farmaci anti-H2, mentre l'aggiunta di una sostanza non specifica (l'istidina) non è in grado di influenzare il fenomeno. Questa osservazione sperimentale depone per la specificità dell'effetto esercitato dalle soluzioni ultradiluite dell'istamina. Riguardo alla spiegazione del fenomeno osservato, gli autori confessano di non essere capaci di formulare ipotesi, almeno facendo riferimento alle conoscenze scientifiche attuali, e dichiarano di aver pubblicato tali dati con lo scopo di incoraggiare la prosecuzione delle indagini.

Fonte:
Inflamm Res, 2004, 53, 181
Dr.Ascani
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Secchezza delle fauci

Messaggiodi Dr.Ascani il mer dic 17, 2008 4:15 pm

La secchezza della fauci conseguente ad una diminuizione di funzione delle ghiandole salivari è un sintomo piuttosto frequente in pazienti affetti da malattie croniche sistemiche, quali l'artrite reumatoide o la Sindrome di Sjogren, ma essa può essere anche la conseguenza di diverse terapie farmacologiche; si conoscono infatti più di 400 farmaci capaci di causare riduzione importante della salivazione, che quindi costituisce l'effetto collaterale più frequente nelle terapie polifarmacologiche. Altre cause di secchezza includono l'irradiazione della testa e del collo, il diabete in cattivo controllo metabolico, la depressione, lo stress e la menopausa.
Le soluzioni terapeutiche offerte dalla medicina convenzionale sono, oltre che palliative, davvero poco efficaci. In particolare si consiglia di masticare gomme senza zucchero, di assumere tavolette costituite da aromatizzanti e dolcificanti, oppure gel o spray orali. Tra le medicine complementari, buoni risultati sono stati ottenuti dall'agopuntura e anche dall'omeopatia. In quest'ultimo caso, uno studio è stato effettuato dall'Università di Turku, Finlandia su 28 pazienti sofferenti di questo problema: 13 sono stati inclusi nel gruppo controllo e 15 nel gruppo verum. Tutti i pazienti erano affetti da xerostomia conseguente a patologie gravi, quali lo Sjogren e l'artrite reumatoide. La produzione di saliva è stata valutata sia con una misurazione diretta, in condizioni basali e dopo stimolo alla salivazione, sia con scala analogica. La cura omeopatica si è rivelata efficace in 13 pazienti su 15 trattati, nessun miglioramento invece nel gruppo di controllo. In un periodo successivo (follow up aperto) anche i pazienti facenti parte del gruppo di controllo sono stati inseriti nel gruppo della terapia omeopatica, con un netto miglioramento della sintomatologia espressa. I medicinali omeopatici utilizzati sono stati scelti in accordo con la sintomatologia specifica di ciascun paziente; in particolare sono stati prescritti molti policresti in diluizione anche molto differenti, dalle decimali fino alle 200 CH: fra questi Arsenicum album, Calcarea carbonica, Iodum, Kalium carbonicum, Lycopodium clavatum, Sepia, Pulsatilla e Silicea.

Fonte:
Homeopathy, 2005, 94, (3), 175
Articolo di Simonetta Bernardini
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L'autoradiografia recettoriale spiega l'azione dei...

Messaggiodi Dr.Ascani il mer dic 17, 2008 4:38 pm

L'autoradiografia recettoriale spiega l'azione dei farmaci in microdosi

La tecnica della microautoradiografia recettoriale permette di studiare sia l'azione stimolatoria che quella inibitoria di dosi molto basse di sostanze tossiche, ovvero del fenomeno conosciuto come ormesi.

La conoscenza della cinetica e della distribuzione dei farmaci a livello tissutale in vivo è il prerequisito per comprendere il meccanismo di azione dei farmaci stessi. Le tecniche usualmente utilizzate non permettono una conoscenza dettagliata del fenomeno in un ampio intervallo di concentrazioni a causa della scarsa sensibilità delle tecniche stesse. Nel recente passato è apparso sul Journal of Pharmacological and Toxicological Methods un bel lavoro di W. E. Stumpf, dell'Università del North Carolina a Chapell Hill, dedicato alle sue ricerche volte a ottenere una indagine dettagliata delle interazioni tra farmaco e recettore in vivo mediante microautoradiografia recettoriale.
Con questa tecnica è stato possibile riconoscere recettori cellulari a differente affinità nel nucleo e nel citoplasma. In particolare, è il nucleo cellulare in generale ad avere l'affinità maggiore per le sostanze. Pertanto, nel caso in cui le concentrazioni della sostanza siano basse, esse si legano preferenzialmente al nucleo. All'aumentare della concentrazione si ha la saturazione dei recettori del nucleo e allora vengono occupati anche i recettori citoplasmatici. Molto interessanti, a questo proposito, gli studi finalizzati a riconoscere le interazioni della vitamina D con l'organismo vivente. Con la tecnica della microautoradiografia recettoriale, infatti, si è potuto documentare il legame della 1,25-diidrossivitamina D3 con i nuclei di alcune cellule del cervello e del midollo spinale, sconfessando in tal modo la convinzione di una captazione negativa da parte delle strutture nervose, ovvero dell'esistenza di una barriera emato-cerebrale. Per contro, con tale tecnica si sono evidenziati siti di azione della vitamina D nelle cellule secernenti l'ormone tireotropo nell'ipofisi anteriore, nel nucleo dell'amigdala, nei motoneuroni del midollo spinale con conseguenti evidenze di azioni della vitamina D su diversi fattori cerebrali come la serotonina, l'acetiltransferasi, il fattore di crescita neuronale, etc. Allo stesso modo, la scoperta di siti recettoriali della vitamina D sulle cellule dello strato germinale della cute ha suggerito un effetto sulla differenziazione e proliferazione della pelle, la cui conoscenza porta ad un uso terapeutico della vitamina D, per esempio, nella psoriasi.
In definitiva, con tale metodo di indagine è stato possibile conoscere una grande quantità di siti recettoriali per la vitamina D in tutto l'organismo umano e questo ha permesso di definire una mappa fino ad oggi sconosciuta di tessuti bersaglio della vitamina D. Questi studi documentano dunque che la risposta cellulare è funzione della dose somministrata e del tempo e che essa dipende dal tipo di sito recettoriale raggiunto. Le più piccole dosi della sostanza interagiscono con il nucleo, mentre a concentrazioni superiori la cellula risponde anche a livello citoplasmatico. Stumpf, facendo riferimento alla Legge di Arndt-Shulz, più di recentemente ribattezzata come ormesi, propone l'utilizzo della tecnica della microautoradiografia per indagare l'azione bifasica delle sostanze sui sistemi biologici. Dal momento che i siti recettoriali del nucleo sono molti meno di quelli citoplasmatici, è ipotizzabile che l'esito dell'interazione della sostanza con il citoplasma provochi un effetto molto diverso e forse anche opposto a quello che si ha preferenzialmente alle basse dosi per interazione con i nuclei cellulari. Dalla lettura di questo lavoro, così come di altre ricerche simili apparse sulle migliori riviste scientifiche, possiamo trarre due riflessioni: 1 - la tecnologia possiede strumenti di indagine affidabili e utili a comprendere l'azione dei farmaci in microdosi sull'organismo vivente; 2 - il teorema della farmacologia classica, che vuole che l'azione di una sostanza sia univoca e proporzionale alla sua concentrazione, non è obiettivamente più sostenibile.

Fonte:
J Pharmacol Toxicol Methods, 2005, 51, (1), 25
Articolo di Simonetta Bernardini
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Arnica montana, un efficace farmaco antinfiammatorio

Messaggiodi Dr.Ascani il mer dic 17, 2008 4:42 pm

Le proprietà antinfiammatorie di Arnica montana sono state testate su modelli animali di infiammazione sia acuta che cronica. Il lavoro è stato realizzato dalle Università di Brasilia e San Paulo, dove sono stati utilizzati topi wistar maschio sui quali l'efficacia terapeutica di Arnica montana 6CH è stata testata per confronto al placebo. Il modello di riferimento per l'infiammazione acuta è stato ottenuto iniettando carragenina nella zampa del topo: la somministrazione di Arnica ha ridotto del 30% lo sviluppo dell'infiammazione, mentre nessun effetto ha avuto il placebo. E' importante anche notare che in questo modello di flogosi acuta il pretrattamento con Arnica 6CH, somministrata 30 minuti prima della carragenina, non ha avuto alcun effetto, suggerendo dunque che la somministrazione di Arnica in modo preventivo non abbia alcuna efficacia, almeno per quanto riguarda il fenomeno infiammatorio acuto; ben diversi sono stati invece i risultati quando si è indagata l'efficacia di Arnica 6CH sulla riduzione dell'edema infiammatorio cronico prodotto con nistatina. La nistatina viene utilizzata per provocare un edema infiammatorio cronico la cui durata è di circa 15 giorni dalla somministrazione. In questo caso, sebbene Arnica 6CH somministrata dopo la nistatina sia stata efficace nel diminuire le dimensioni dell'edema rispetto al placebo, il miglior risultato si è ottenuto nel gruppo di topi che hanno ricevuto Arnica mezz'ora prima della nistatina. Infine è stato anche verificato che Arnica, nella stessa diluizione, è in grado di diminuire considerevolmente l'edema da aumentata permeabilità vascolare indotto dalla somministrazione di istamina.

Fonte:
Homeopathy, 2004, 93, (2), 84
Articolo di Simonetta Bernardini
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Uno studio danese su omeopatia e malattie allergiche

Messaggiodi Dr.Ascani il mer dic 17, 2008 8:15 pm

Si tratta di uno studio retrospettivo condotto sulla base della efficacia della terapia effettuata, riferita da pazienti affetti da malattie da ipersensibilità (le allergie, ndr). Lo studio è stato condotto tra maggio e ottobre 2001 in Danimarca. Dei 104 medici di medicina generale contattati soltanto sei, tre uomini e tre donne, hanno aderito allo studio, mentre hanno aderito tutti gli undici medici omeopati reclutati presso la Scuola Danese di Omeopatia Classica, forniti di diploma finale del corso, con almeno due anni di esperienza clinica ed esperti nel trattamento di malattie allergiche.
Sono stati utilizzati 194 questionari, 104 affidati ai medici omeopati che ne hanno distribuiti 92 (restituiti 54, pari al 58,7%) e 90 ai medici di Medicina Generale che ne hanno distribuiti 60 (restituiti 34, pari al 56,7%). Le domande sono state relative a vari parametri: tempo intercorso tra l'inizio della terapia e la comparsa dei primi effetti; variazione dei sintomi; comparsa di sintomi precedenti; cambiamenti nell'uso di terapie convenzionali; uso di terapia convenzionale al momento della compilazione del questionario; eventuali conseguenze della interruzione della terapia convenzionale; stato di salute rispetto a 12 mesi prima; autovalutazione dello stato psicologico generale.
Non esistono differenze tra i due gruppi di pazienti per caratteristiche clinico-anamnestiche (età, titolo di studio, sesso, durata dei sintomi al momento della compilazione del questionario): le uniche differenze riguardano la attività lavorativa. I risultati indicano che i pazienti trattati con terapia omeopatica mostrano in modo significativo minori inconvenienti alla interruzione della terapia convenzionale e un miglioramento generale dell'andamento dei sintomi (miglioramento nel 57% dei casi, contro il 24% del gruppo con terapia convenzionale). Nessuna differenza significativa per quanto riguarda gli aspetti psicologici, migliorati in entrambi i gruppi. La rilevanza dello studio è attenuata dalle carenze metodologiche e, soprattutto, dall'alta percentuale di questionari non compilati (circa il 50%) in entrambi i gruppi.

Fonte:
Homeopathy, 2006, 95, (2), 73
Articolo di Francesco Macrì
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Il paradosso farmacologico delle soluzioni ultradiluite

Messaggiodi Dr.Ascani il mer dic 17, 2008 10:04 pm

Molti esperimenti condotti in passato per verificare l'efficacia di sostanze diluite allo stesso livello dei rimedi omeopatici hanno avuto come oggetto l'attivazione dei granulociti basofili indotta da allergeni o da un siero anti-IgE; i dati presentati in queste pubblicazioni mostravano una capacità di inattivazione di tale attività da parte di soluzioni di istamina comprese tra 10 alla meno 30 molare e 10 alla meno 36 molare, corrispondenti a diluizioni omeopatiche comprese tra la 15 e la 18CH e quindi sicuramente oltre la fatidica concentrazione ponderale espressa dal numero di Avogadro. In tempi più recenti sperimentazioni di questo tipo sono state replicate con strategie più sofisticate, utilizzando un marcatore di attivazione basofila (il recettore CD63) e la citometria a flusso, ma anche in questo caso il livello di inibizione ottenuto (il 14% circa) non è stato sufficiente a convincere la comunità scientifica della concretezza del fenomeno.
Su questa stessa strada due ricercatori francesi, J. Sainte-Laudy e P. Belon hanno voluto ulteriormente migliorare la sensibilità della metodica, confidando ancora una volta nella citometria a flusso ma aggiungendo alla determinazione del CD63 un recettore di più recente acquisizione e dotato di maggiore sensibilità, il CD203c, sempre legato all'attivazione dei granulociti basofili. In questo caso soluzioni diluite di istamina corrispondenti ad una potenza omeopatica compresa tra la 2CH e la 16CH hanno determinato non solo l'inattivazione basofila di tipo IgE-dipendente, ma anche quella non legata a tali immunoglobuline (ottenuta sperimentalmente mediante stimolazione con fMLP). Il livello di inibizione, stando a quanto hanno pubblicato i due ricercatori su Homeopathy, sarebbe legata al tipo di marker di attivazione utilizzato: nel caso del CD203c, il livello di inattivazione della soluzione di istamina 16CH è arrivato al 38%, fin quasi a raddoppiare (73%)nel caso della soluzione alla 2CH.
Le interessanti conclusioni a cui giungono Sainte-Laudy e Belon confermano l'azione in vitro di una sostanza diluita oltre il limite ponderabilità molecolare che viene superato nella grande maggioranza dei rimedi omeopatici: un segnale forte e deciso verso la comunità scientifica che, a questo punto, potrebbe decidersi ad approfondire le proprie conoscenze verso un fenomeno, quello delle soluzioni ultradiluite, che potrebbe aggiungere nuovi e interessanti corollari al paradigma farmacologico finora conosciuto.

Fonte:
Homeopathy, 2006, 95, (1), 3
Articolo di Antonella Bondi
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Maratoneti, meno dolore e danni muscolari con Arnica

Messaggiodi Dr.Ascani il mer dic 17, 2008 10:10 pm

In questo studio di Tveiten e Bruset pubblicato su Homeopathy, è stata valutata l'efficacia di Arnica D30 nel ridurre i sintomi di fatica e dolore muscolare in due gruppi di maratoneti che hanno partecipato alla Maratona di Oslo nell'anno 1990 e 1995. Gli atleti hanno percorso 45 Km nelle strade di Oslo e sono stati divisi in due gruppi: uno trattato con placebo e uno con Arnica montana. I maratoneti hanno giudicato il dolore muscolare secondo una scala analogica visiva; sono stati anche indagati alcuni parametri emato-chimici: creatin-chinasi (CK), lattico-deidrogenasi (LDH) e elettroliti (socio, potassio e magnesio). Non si sono individuate differenze significative nei due gruppi per quanto riguarda il valore degli elettroliti e del LDH. Per quanto riguarda il CK, esso è risultato aumentato in entrambi i gruppi raggiungendo il valore più alto nel secondo giorno dopo la gara. Ma non vi erano differenze sostanziali nei rilevamenti del valore di CK nel gruppo verum e nel placebo. Per quanto riguarda invece il dolore, esso è stato valutato con una scala compresa tra "nessun dolore" e "dolore estremo", indagato rispettivamente 18, 42 e 66 ore dopo la corsa. Il dolore muscolare è stato nettamente inferiore nel gruppo trattato con Arnica ad ogni rilevazione, sia precocemente che tardivamente. Gli Autori concludono che Arnica è efficace nel ridurre il dolore muscolare conseguente a sforzo muscolare estremo, anche se non risulta efficace nel ridurre i fenomeni di danno a livello del tessuto muscolare stesso.

Fonte:
Homeopathy, 2003, 92, (4), 187
Articolo di di Antonella Bondi
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