OMEOPATIA E CANCRO

Qui è possibile postare e commentare articoli sulla Medicina Omeopatica. Si raccomanda di citare sempre la fonte dell'articolo.

OMEOPATIA E CANCRO

Messaggiodi Dr.Ascani il lun dic 15, 2008 5:02 pm

L'omeopatia nel trattamento del cancro

In sette nazioni europee su quattordici, i pazienti affetti da tumori utilizzano terapie complementari, e tra tutte maggiormente l'omeopatia, come palliativo o come supporto per rafforzare il corpo e combattere meglio la malattia, ma soprattutto per limitare gli effetti indesiderati provenienti dai trattamenti convenzionali.
L'uso dei farmaci omeopatici in oncologia è molto controverso; in primo luogo perché il farmaco omeopatico è altamente specifico per quel paziente con determinati sintomi, indipendentemente da una diagnosi convenzionale. Una recente review pubblicata sull'European Journal of Cancer si è riproposta di valutare l'efficacia dei vari tipi di trattamenti omeopatici, considerando i lavori esistenti in letteratura su studi clinici randomizzati controllati e non. Sono stati inclusi in questo studio, i lavori riguardanti sia pazienti affetti da cancro, sia pazienti con un pregresso cancro, che in passato avevano ricevuto un intervento omeopatico come singolo trattamento o come terapia adiuvante rispetto ai trattamenti convenzionali. Il principale parametro considerato è stato la valutazione dell'efficacia dei rimedi omeopatici nel trattamento dei sintomi dei pazienti, in termini di riduzione di frequenza e durata e consequenziale miglioramento della qualità della vita.
Cinque dei sei trial presi in considerazione evidenziano l'efficacia del trattamento omeopatico, con risultati positivi soprattutto in alcune condizioni cliniche. Riduzione del dolore, della secchezza della mucosa orale e della lingua, miglioramento della disfagia, riduzione delle recidive e del peggioramento dei sintomi nella stomatite indotta da chemioterapia. Minore frequenza di radiodermiti in pazienti sottoposti a radioterapia per differenti tipi di cancro ed in generale minori effetti collaterali come riduzione dell'eritema, dell'edema, delle ustioni cutanee, e una minor pigmentazione, senza alcun effetto sulla riduzione della massa tumorale. Inoltre nelle pazienti con menopausa indotta dopo carcinoma della mammella, l'esperienza omeopatica ha prodotto notevoli miglioramenti della qualità della vita.
L'evidenza di efficacia dei rimedi omeopatici non può comunque essere considerata sufficiente. La ricerca quindi dovrà effettuare ulteriori studi su ampia scala che confermino tali risultati, limitando alcuni errori statistici emergenti dagli attuali trial, dovuti all'eterogeneità stessa della terapia omeopatica. E' da valutare, inoltre, con lavori più approfonditi, il possibile effetto antitumorale del farmaco omeopatico, considerati i risultati positivi ottenuti dal rimedio "Carcinosinum" (sostanza derivata da cellule cancerose), in numerosi studi condotti sugli animali. In conclusione, l'evidenza emergente da tale review è incoraggiante, ma non convincente. Ulteriori ricerche dovranno chiarire quindi tutte le domande aperte relative all'omeopatia.

Fonte:
Eur J Cancer, 2006, 42 (3), 282-289
Articolo di di Nicola Campobasso
Dott. Tancredi Ascani
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In Australia contro il cancro si integrano le MNC

Messaggiodi Dr.Ascani il lun dic 15, 2008 5:06 pm

ESTERO - La medicina ufficiale, in Australia, si interroga: quale via intraprendere per integrare terapie convenzionali e terapie complementari nella cura contro il cancro? Sebbene siano viste con scetticismo dalla comunità scientifica, secondo un recente sondaggio, circa la metà della popolazione australiana utilizza le medicine complementari e alternative (CAM) e un 20% viene visitato regolarmente da medici non convenzionali. Un altro studio, sempre australiano, ha stabilito che il 22% dei pazienti ammalati di cancro utilizzano terapie CAM.
Gli ammalati di cancro si servono di queste terapie per diversi motivi: migliorare la loro qualità di vita; per timori derivanti dalla tossicità delle terapie convenzionali; perché corrispondono alla loro fiducia; perché credono che possano combattere efficacemente il cancro o migliorare la situazione stimolando il sistema immunitario. A questo punto, dal momento che le CAM fanno parte di un approccio olistico alla cura del cancro, se utilizzate in appoggio alle terapie mediche convenzionali, gli autori di questo articolo auspicano una maggior collaborazione, informazione e reciproco sostegno da parte di queste due diversi settori della medicina. Si è arrivati a queste conclusioni, dopo che indagini statistiche condotte su pazienti in trattamento con radioterapia in Italia, Canada e nella stessa Australia hanno verificato che i medici operanti in questi paesi sottostimano grandemente il numero dei pazienti che utilizzano CAM: mentre i medici credono che il 4% ne faccia uso, in verità il numero uscito da indagini ufficiali è stato del 37%. La metà di questi ammalati non lo dice al proprio medico perché lo trovano disinteressato o apertamente ostile a queste terapie.
Integrare medicina ufficiale e CAM appare una necessità sempre più importante e urgente. Una ricerca combinata e un programma clinico di medicina integrata, come comunemente già praticato nel Nord America, potrebbe favorire questo dialogo tra CAM e medicina convenzionale per creare nuove opportunità di collaborazione e, assieme, esplorare il potenziale di nuovi trattamenti, dopo una rigorosa valutazione. Occorre, quindi, da una parte uno sforzo dei medici praticanti le CAM: accettare prove metodologiche controllate randomizzate, fino ad oggi avversate in virtù del fatto che queste terapie si basano sul trattamento individualizzato del paziente; stabilire collaborazioni con cliniche e trovare i non facili fondi per queste prove; reclutare commissioni etiche e scientifiche per la valutazione di questi test sulla salute umana. Dall'altra parte è tempo che la comunità medica accetti un dialogo, dal momento che le CAM non sono una moda passeggera che godono soltanto di un'enorme popolarità; ma per salvaguardare le scelte e la salute dei loro pazienti è tempo per clinici, oncologi e medici della salute pubblica di sapere qualcosa in più di "ciò che sta dall'altra parte".

Fonte:
eMJA, 2006, 185, (7), 377
Articolo di Italo Grassi
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K al seno,omeopatia promettente nel prurito da terapia radia

Messaggiodi Dr.Ascani il mar dic 16, 2008 1:01 pm

Dopo l'escissione del tumore della mammella si esegue, come prassi standard, una radioterapia locale allo scopo di ridurre le recidive locali. Il trattamento usualmente consiste nella somministrazione di 25 applicazioni da effettuarsi lungo un periodo di 5 settimane. Le conseguenze più comuni di questa pratica terapeutica sono l'arrossamento nella sede di applicazione, il bruciore, il prurito e a volte l'edema da congestione dei vasi linfatici. Gli Autori riportano i risultati di uno studio osservazionale realizzato dal dipartimento di Radioterapia dell'Università di Vienna con l'aiuto di un ambulatorio di omeopatia. La scelta del medicinale omeopatico è stata effettuata utilizzando la repertorizzazione dei sintomi avvalendosi di un supporto di ricerca informatico.
Sono state trattate 25 donne affette da prurito conseguente a radioterapia; le pazienti sono state rivalutate dopo un periodo medio di tre giorni dalla somministrazione di un'unica dose del rimedio indicato. Hanno risposto alla prima prescrizione terapeutica 14 pazienti su 25. A 9 delle pazienti non responder è stata prescritta, in un secondo momento, una seconda medicina alla quale hanno risposto 7 pazienti. In totale, tra il primo e il secondo tentativo terapeutico, la percentuale delle donne che hanno risolto il sintomo del prurito con la medicina omeopatica è stata del 84% (ovvero 23 donne su 25).
Gli Autori ritengono che la mancata risposta al primo rimedio dipenda da una imperfetta repertorizzazione conseguente al poco tempo (trenta minuti in media) dedicato alla prima visita. Tuttavia, tenuto conto che il tempo dedicato alle visite omeopatiche è stato compreso tra i 10 minuti in alcuni casi e 80 minuti in altri casi, un tempo più lungo di visita è di fatto scarsamente proponibile qualora si volesse estendere il servizio ad una casistica più ampia in ambito pubblico. E' dunque auspicabile che, nel caso in cui si voglia proporre questa opportunità terapeutica su larga scala, si costruisca un protocollo basato su criteri più snelli. Dall'analisi dei rimedi utilizzati, emerge che la maggioranza delle pazienti sono state trattate con medicinali quali Fluoricum acidum, Causticum e Ignatia mentre sono stati utilizzati più raramente rimedi quali Berberis, X-Ray e Rhus toxicodendron.

Fonte:
Homeopathy, 2004, 93, (4), 210
Dott. Tancredi Ascani
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Lycopodium 30CH protegge il topo dal tumore al fegato

Messaggiodi Dr.Ascani il mer dic 17, 2008 4:18 pm

Un ottima rivista, Molecular and Cellular Biochemistry, ospita molto recentemente un lavoro realizzato dall'Università di Kalyani, India.

Vediamo di cosa si tratta e quali riflessioni se ne possono trarre. Il azo dye -para-dimetilaminoazobenzene(p-DAB) è una sostanza molto usata come colorante e lucidante di diversi cibi secchi. E' nella lista dei carcinogenetici del IARC (International Agency for Research on Cancer), nel gruppo 2 B. Il fenobarbital, utilizzato come anticolvulsivante, è un potente potenziatore dell'effetto cancerogeno del p-DAB. Topi sani della razza Swiss albino, sono stati divisi in 5 gruppi ed essi sono stati tutti quanti nutriti con lo stesso cibo. Nel gruppo due al cibo è stato aggiunto alcool, nel gruppo 3: p-DAB+ fenobarbital, nel gruppo 4: p-DAB+ fenobarbital+ alcool, mentre nel gruppo 5 p-DAB+ fenobarbital+ Lycopodium 30 CH sciolto in alcool e somministrato come 1 goccia del prodotto due volte al giorno fino al momento del loro sacrificio che è avvenuto dopo 7, 15, 30, 60, 90 e 120 giorni dall'inizio della ricerca.
Tutti i topi sono stati sottoposti dopo il sacrificio a indagini citologiche riguardanti: aberrazioni cromosomiche, micronuclei , indice mitotico, anomalie della testa degli spermatozoi, aspetto del fegato e valutazione di altri markers tumorali. Dei 210 topi studiati, 54 si erano ammalati di tumore del fegato. Tutti i topi nutriti con p-DAB+fenobarbital+ alcool hanno sviluppato tumore del fegato con molte modularità tumorali dell'organo dopo 60 giorni. Il gruppo di topi che aveva ricevuto p-DAB+fenobarbital+alcool+lycopodium ha manifestato o non sviluppo di tumore o sviluppo di tumore ma con meno nodularità. Ugualmente, nel gruppo trattato anche con Lycopodium, sono state osservate un numero ridotto di mitosi e un minor numero di anomalie delle teste degli spermatozoi. Ma anche l'incremento delle transaminasi, della fosfatasi alcalina è stato più contenuto nel gruppo Lycopodium. Nel contempo, nello stesso gruppo trattato con Lycopodium, si è osservato un aumento del livello di glutatione ridotto che ha un'azione protettiva regolando le proliferazioni cellulari e le difese della cellula.
Gli Autori si domandano come sia possibile che diluizioni extramolecolari di Lycopodium prive di ogni ipotetica molecola possano funzionare. Khuda-Bukhsh propone l'ipotesi che Lycopodium possa influenzare qualche gene. Nell'esperimento riportato, per esempio, tutti i markers citogenetici e biochimici testati sono sotto l'influenza di uno specifico meccanismo regolatore genetico. Un'altra riflessione espressa dagli autori è che il fegato è un target critico del tratto gastrointestinale ed esso è pertanto un importante target di farmaci e sostanze chimiche che possono generare tossicità in esso. Così, un'azione detossificante potrebbe avere un notevole importanza di fronte alla resistenza a questi agenti patogeni. Dunque, qualunque medicinale che possa antagonizzare gli effetti epatossici può diventare un buon candidato per una terapia di supporto in molte forme di malattia del fegato incluso il cancro. Pertanto, anche Lycopodium 30CH potrebbe, se altri studi supporteranno i dati, essere raccomandato nella terapia del tumore.
Questi i contenuti dello studio ed ora, tra le tante riflessioni che si possono trarre dalla lettura di questo sorprendente lavoro di ricerca, due mi appaiono fondamentali: la prima riflessione è che più medicinali omeopatici, hanno, come Lycopodium in questo caso, dimostrato di possedere una propria "autonomia terapeutica" che prescinde dalla regola della similitudine omeopatica, almeno nella sua accezione corrente e, dunque, prescinde dal metodo omeopatico utilizzato per la loro prescrizione. Questa (indubbia) farmacologia omeopatica deve fare riflettere, particolarmente coloro che spendono fin troppe energie per affermare la supremazia di una tecnica prescrittiva su un'altra , quando non addirittura la unica validità di una unica tecnica prescrittiva del medicinale omeopatico. La seconda riflessione è che, per quel poco che oggi sappiamo dei geni e della loro attività, non sembra possibile escludere una sorta di "comprensione", di "dialogo" tra il nostro sistema genetico e le dosi, molecolari o extramolecolari, dei farmaci omeopatici. Cento anni di indagini dedicate tutte alla farmacologia delle dosi ponderali, anzi, più spesso all'azione delle overdose di farmaco hanno prodotto la nostra farmacologia convenzionale. Speriamo che nei prossimi anni si avviino anche ricerche sulla farmacologia delle piccole dosi, un mondo che, è indubbio, possiede molte ulteriori risorse terapeutiche.

Fonte:
Molecular Cell Biochem, 2006, 285, (1-2), 121
Articolo di Simonetta Bernardini
Dott. Tancredi Ascani
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Medicinali omeopatici bloccano sviluppo tumorale

Messaggiodi Dr.Ascani il gio dic 18, 2008 11:37 am

Dall'Amala Cancer Research Centre arrivano i risultati di uno studio che analizza l'effetto citotossico e favorente l'apoptosi di dieci medicinali omeopatici in Tintura Madre (TM) ed in dinamizzazioni 30CH e 200CH, su linee cellulari ottenute da linfoma di Dalton (DLA), carcinoma ascitico di Ehrlich (EAC), da fibroblasti di polmone (L929) e da ovaio di criceto cinese (CHO). Dalla conta con emocitometro delle cellule sedimentate in piastre tarate, sulle linee DLA ed EAC è stato osservato a breve termine un effetto citotossico del 100% da parte di Thuja TM e Lycopodium TM, parziale del 40% da parte di Hydrastis TM e di poco più del 20% da parte di Condurango TM e Phytolacca TM. Citotossicità del 30% e del 20% rispettivamente hanno invece dimostrato Conium 200CH e Carcinosinum 200CH. Diverso è il risultato ottenuto nell'osservazione a lungo termine sulle cellule della linea L929, in cui si sono verificate efficaci sia le TM, sia le dinamizzazioni 200CH di Thuja, Conium e Carcinosinum, con una percentuale di cellule morte alla conta rispettivamente del 38%, 42,5% e 40%. Per Thuja e Conium è stata osservata una citotossicità significativa, ma inferiore, anche per la diluizione 30CH. Sulla linea CHO l'inibizione della formazione di colonie al 100% è stata ottenuta con le TM di Thuja, Hydrastis, Ruta, Chelidonium e Podophyllum, con le dinamizzazioni 30CH e 200CH di Thuja, Hydrastis, Carcinosinum e Podophyllum e con le dinamizzazioni 200CH di Conium, Ruta, Chelidonium, Condurango, e Phytolacca. È stato poi verificato l'uptake di timidina per la sintesi di DNA durante la proliferazione della linea L929: ne è risultata un'inibizione della captazione del 95% con tutte le TM, ad eccezione della Phytolacca, e del 40% con Thuja 30CH e 200CH, Hydrastis 30CH e Conium 200CH. In tutti i casi citati è stato preso in riferimento un controllo sia con colture cellulari non trattate, sia trattate con solvente dinamizzato, risultate sempre negative. Nell'analisi dell'effetto favorente l'apoptosi è stata osservata l'induzione dell'espressione del gene p53 (proapoptotico) nelle cellule trattate con Carcinosinum 200CH attraverso il confronto di bande elettroforetiche del DNA. In conclusione, nonostante i risultati positivi in vitro, ancora manca la descrizione di un esatto meccanismo di azione. Grande rimane però l'interesse per una possibile futura applicazione in campo oncologico.

Fonte:
eCAM, 2007, doi:10.1093/ecam/nem082
Articolo di Federico Angelini
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L'omeopatia rallenta la crescita tumorale: uno studio in viv

Messaggiodi Dr.Ascani il gio dic 18, 2008 3:10 pm

Incensato ed evocato perché sempre assente, le poche volte che viene rischia di passare sotto silenzio. Stiamo parlando di un interrogativo, che è anche il titolo di un articolo di Wayne B. Jonas e coll. pubblicato su Integrative Cancer Therapies nel 2006. Il trattamento omeopatico può rallentare l'evoluzione di un tumore? Wayne Jonas ed i suoi collaboratori al Dipartimento di Patologia della University of the Health Sciences di Bethesda, nel Maryland, hanno cercato la risposta a questa domanda studiando un modello animale di cancro prostatico, utilizzando quattro tra i rimedi omeopatici più frequentemente prescritti per i processi iperproduttivi a carico della prostata: Conium maculatum (1000CH), Sabal serrulata (200CH), Thuya occidentalis (1000CH) e Carcinosinum (1000 CH). Lo scopo dello studio era di valutare l'azione di queste diluizioni in vitro, su linee cellulari isolate di tumore prostatico, ma anche di osservare la loro azione in vivo, in una ampia popolazione di ratti ai quali erano state inoculate cellule di tumore prostatico. La valutazione in vitro consisteva nell'incubare linee cellulari isolate di tumore prostatico con le diluizioni omeopatiche selezionate e nell'analizzare la percentuale di cellule tumorali proliferanti, ed il numero di cellule apoptosiche, in rapporto a linee cellulari neoplastiche non trattate. Questo livello di osservazione non mostrava differenze significative tra le due popolazioni cellulari, indicando che le diluizioni non avevano un diretto effetto citotossico o apoptosico.
Lo studio in vivo, randomizzato ed in doppio cieco, è stato condotto su di una popolazione di 100 ratti. Gli animali venivano inoculati con cellule tumorali prostatiche e venivano poi randomizzati in due gruppi. Per cinque settimane il gruppo attivo veniva trattato con il seguente schema di somministrazione settimanale Thuya (giorno 1 e 4), Conium (giorno 2 e 5), Sabal (giorno 3 e 6), Carcinosinum (giorno 7). Obiettivo dell'osservazione era di valutare nei due gruppi l'incidenza e la successiva crescita del tumore, lo sviluppo di metastasi e la mortalità complessiva. I risultati mostrano un ritardo nella comparsa di tumore nel gruppo trattato (11 giorni, contro i 7 del gruppo non trattato), una ridotta incidenza di sviluppo di tumore nel gruppo trattato (minore del 23% rispetto ai controlli), una sopravvivenza maggiore per il gruppo trattato a dieci settimane, una riduzione (38% rispetto ai controlli) del volume e del peso del tessuto tumorale 30 giorni dopo l'induzione della neoplasia e l'assenza di differenze, nei due gruppi, per lo sviluppo di metastasi polmonari. La mancanza di esplicazione per questi dati in vivo deve indurre ad essere molto cauti nella valutazione di questi dati. Tuttavia questi risultati, che necessitano evidentemente di replicazioni indipendenti e di ulteriori articolazioni, ci sembrano già costruire un mondo aperto, dove le porte sostituiscono le frontiere e le relazioni prendono il posto dei conflitti.

Fonte:
Integrative Cancer Ther, 2006, 5, (4), 343
Articolo di Massimo Saruggia
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Ruta efficace contro i tumori cerebrali

Messaggiodi Dr.Ascani il ven dic 19, 2008 7:19 pm

Uno studio congiunto tra università indiane e statunitensi ha registrato l'azione antitumorale di Ruta graveolens 6CH in alcuni tumori cerebrali, osservando i suoi effetti in vivo ed in vitro.

La letteratura interessata alle nuove prospettive che la terapia omeopatica può offrire al trattamento delle neoplasie appare come un'erede dei passages parigini, le strade coperte sulle quali si aprono negozi. Essi vennero concepiti con l'intenzione di tenere viva l'attenzione del pubblico, al riparo dalla pioggia, ma oggi li scopriamo quasi per caso e li percorriamo silenziosamente; se questo li fa esistere un po' meno, non significa tuttavia che essi siano meno affascinanti. Anche un articolo come quello di Sen Pathaki giunge alla lettura senza rumori, ma ciò che esso suggerisce può essere un passo nel futuro. Pathaki, alla PBH Research Foundation di Kolkata, in India, ha osservato l'azione di Ruta 6CH in associazione a Calcarea phosphorica 3DH in 15 pazienti con neoplasie intracraniche (nove gliomi, tre meningiomi, un neurinoma, un craniofaringioma e una neoplasia dell'ipofisi); la diagnosi era sostenuta da dati radiologici ed istopatologici. La durata del trattamento per ottenere un graduale miglioramento clinico-strumentale è stata molto variabile (da 3 mesi sino a 7 anni). Gli effetti di Ruta in vitro sono stati osservati su linee cellulari umane di glioma e di leucemia, su cellule metastatiche di melanoma murino e su linfociti B umani normali.
Sul piano clinico la somministrazione di Ruta 6CH (2 gtt. due volte al dì) si è rivelata molto efficace: dei nove pazienti con glioma, otto (88.9%) hanno mostrato una regressione clinico-radiologica completa, due dei tre pazienti affetti da meningioma si sono giovati di un arresto prolungato dell'evoluzione della massa tumorale, mentre un terzo ha avuto una completa regressione, così come il paziente con il craniofaringioma e con il tumore dell'ipofisi. D'altra parte la sperimentazione in vitro ha mostrato che Ruta è in grado di indurre la morte cellulare nelle linee cellulari umane di glioma e di leucemia ed in quelle di melanoma murino, provocando una catastrofe mitotica ed una erosione del telomero del DNA selettivamente nelle cellule tumorali. Al contrario, nei linfociti normali Ruta dimostra di agire come fitogeno senza provocare aberrazioni cromosomiche. Lo studio di Pathaki sembra dunque dimostrare che una combinazione di Ruta 6CH e di Ca3(PO4) permettono un arresto della progressione o una regressione clinica del glioma umano; il numero dei pazienti studiati è certamente troppo piccolo per trarre conclusioni, tuttavia i risultati paiono incoraggianti.
I risultati degli studi in vitro indicano che, per quanto Ruta si dimostri citotossica per le linee cellulari tumorali umane e murine, la sua azione è più intensa sulle linee cellulari di glioma umano che su quelle leucemiche. Questa azione appare mediata da una erosione telomerica nelle cellule tumorali cerebrali, che non è presente nelle cellule leucemiche, dalla induzione di endomitosi e dalla frammentazione del DNA, con successiva morte cellulare. La rutina, il componente attivo di Ruta, possiede una documentata attività antiossidante, antinfiammatoria ed antimutagena. L'associazione con Ca3(PO4)2, induttore della fosfolipasi, permette una più efficace azione del TNF che è in grado di indurre apoptosi della cellula tumorale e regressione o arresto di crescita della massa neoplastica. Questo studio sembra suggerire che l'associazione di Ruta 6CH + Calcarea phosphorica 3CH abbia un effetto antimitotico e apoptogenico nelle cellule tumorali umane di glioma. Diversamente dalla chemioterapia convenzionale nel glioma umano, Ruta, in associazione con Calcarea phosphorica 3CH, sembra aggredire selettivamente le cellule neoplastiche e stimolarei linfociti normali.
A noi resta la considerazione che la voglia di farsi stregare e sedurre da idee in movimento forse appartiene soltanto a culture diverse dalla nostra, legata a plumbei trattati e ad un sapere rigidamente strutturato.

Fonte
Int J Oncol, 2003, 23, (4), 975
Articolo di Massimo Saruggia
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12963976
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Integrazione in oncologia pediatrica

Messaggiodi Dr.Ascani il sab dic 20, 2008 3:12 pm

La cura di un bambino di undici anni con sarcoma sinoviale dimostra la felice integrazione delle pratiche mediche complementari (CAM) con le terapie convenzionali. Il regime intensivo di chemioterapia, terapia radiante e resezione chirurgica si associa a fenomeni di tossicità acuta e cronica. Molti di questi episodi tossici includono infiammazione della mucosa gastrointestinale, ulcere, xerostomia, anoressia e astenia che non sono ben curate con le medicine convenzionali. In questo caso, l'utilizzo di interventi dietetici, di agopuntura, di erbe cinesi, di riflessologia e di massaggi hanno aiutato a migliorare la qualità della vita di questo bambino durante il suo trattamento convenzionale. Le CAM sono utilizzate da un numero sempre maggiore di bambini ammalati di cancro. Recenti studi riportano un utilizzo delle CAM da 31% a 84% di bambini con cancro. Il vantaggio nel sostegno a favore dei bambini su effetti collaterali e stress derivanti dal trattamento convenzionale è stato descritto come uno dei maggiori fattori che motivano l'utilizzo di discipline complementari. L'integrazione delle CAM nella cura dei bambini ammalati di cancro richiede alcune considerazioni. Il coinvolgimento dell'intera famiglia nello sviluppo di un piano dietetico è stato particolarmente messo in risalto. L'accettazione dell'agopuntura da parte di questo undicenne illustra il vantaggio di lavorare con operatori di CAM dotati di esperienza nel trattamento dei bambini. La necessità di regolazione di corretti dosaggi di supplementi ed erbe medicinali per bambini inoltre necessita di essere esaminata, poiché sono limitati i dati presenti nella letteratura medica. Cautela ancora occorre nei confronti delle erbe medicinali e di altri supplementi dietetici utilizzati in associazione con chemioterapia e radioterapia, poiché esistono pochi dati evidence-based per una guida clinica pratica. La ricerca sta valutando il promettente ruolo che molte di queste terapie hanno nella cura dei precedenti trattamenti tossici. Per esempio, il Children's Oncology Group attualmente sta indagando sul ruolo dell'elettroagopuntura su nausea e vomito indotti dalla chemioterapia nei bambini con tumori solidi e l'utilizzo di un composto omeopatico (Traumeel S) per la prevenzione e la cura di stomatiti durante il trapianto di cellule staminali. Nel frattempo molte CAM possono avere un importante ruolo nel promuovere la salute nei bambini ammalati di cancro, così come è stato illustrato da questo caso.

Fonte:
Integrative Cancer Ther, 2006, 5, (1), 48
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Modelli animali e cellulari per l'omeopatia nel tumore prost

Messaggiodi Dr.Ascani il sab dic 20, 2008 3:37 pm

L'articolo di Brian MacLauglin, pubblicato su Integrative Cancer Therapies è una lettura preziosa giuntaci per le vie silenziose dell'amicizia. L'autore si propone di studiare gli effetti di Sabal serrulata, Thuja e Conium maculatum sulla proliferazione di linee cellulari umane di tumore prostatico in un modello animale e cellulare. Nel modello in vitro linee cellulari di tumore prostatico umano sono state incubate con varie diluizioni (12CH - 30CH - 100CH - 300K - 1000K) dei rimedi prescelti, utilizzando come controllo identiche diluizioni del solvente. La proliferazione cellulare e la loro vitalità sono state poi studiate con colorazione proteica al cristal violetto e con il test MTT. Nel modello animale i ratti sono stati inoculati con cellule di tumore prostatico umano e divisi, due giorni dopo l'esposizione, in quattro gruppi di dieci animali ciascuno (gruppo di controllo, trattamento con solvente diluito, gruppo trattato con Sabal serrulata 200CH, gruppo sottoposto ad un trattamento complesso che prevedeva in sequenza Thuja 1000K, Conium maculatum 1000K, Sabal serrulata 200CH e Carcinosinum 1000K). Lo schema di trattamento è continuato per cinque settimane e gli animali sono stati seguiti per ulteriori cinque settimane dopo la sospensione del trattamento. La massa tumorale dopo il suo sviluppo è stata sottoposta alle misurazioni con gli strumenti usuali e a controllo MNR. I risultati dello studio dimostrano una risposta biologica al trattamento manifestato dalla proliferazione cellulare e dalla crescita della massa tumorale sia in vivo che in vitro. L'effetto biologico è stato significativamente più evidente con Sabal serrulata (riduzione della proliferazione cellulare in vitro del 33% dopo 72 ore rispetto ai controlli e riduzione significativa della massa tumorale in vivo) rispetto al regime di trattamento di associazione. Certamente, per confermare questi risultati, l'orizzonte di questi studi non può accontentarsi di una cornice di fortuna; serve al contrario un paesaggio sconfinato di nuove e ripetute sperimentazioni.

Fonte:
Integrative Cancer Ther, 2006, 5, (4), 362
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Lycopodium 30CH protegge il topo dal tumore al fegato

Messaggiodi Dr.Ascani il gio feb 19, 2009 7:51 am

Un rivista di qualità, Molecular and Cellular Biochemistry, ospita molto recentemente un lavoro realizzato dall'Università di Kalyani, India. Vediamo di cosa si tratta e quali riflessioni se ne possono trarre. Il azo dye -para-dimetilaminoazobenzene(p-DAB) è una sostanza molto usata come colorante e lucidante di diversi cibi secchi. E' nella lista dei carcinogenetici del IARC (International Agency for Research on Cancer), nel gruppo 2 B. Il fenobarbital, utilizzato come anticolvulsivante, è un potente potenziatore dell'effetto cancerogeno del p-DAB. Topi sani della razza Swiss albino, sono stati divisi in 5 gruppi ed essi sono stati tutti quanti nutriti con lo stesso cibo. Nel gruppo due al cibo è stato aggiunto alcool, nel gruppo 3: p-DAB+ fenobarbital, nel gruppo 4: p-DAB+ fenobarbital+ alcool, mentre nel gruppo 5 p-DAB+ fenobarbital+ Lycopodium 30 CH sciolto in alcool e somministrato come 1 goccia del prodotto due volte al giorno fino al momento del loro sacrificio che è avvenuto dopo 7, 15, 30, 60, 90 e 120 giorni dall'inizio della ricerca.
Tutti i topi sono stati sottoposti dopo il sacrificio a indagini citologiche riguardanti: aberrazioni cromosomiche, micronuclei , indice mitotico, anomalie della testa degli spermatozoi, aspetto del fegato e valutazione di altri markers tumorali. Dei 210 topi studiati, 54 si erano ammalati di tumore del fegato. Tutti i topi nutriti con p-DAB+fenobarbital+ alcool hanno sviluppato tumore del fegato con molte modularità tumorali dell'organo dopo 60 giorni. Il gruppo di topi che aveva ricevuto p-DAB+fenobarbital+alcool+Lycopodium ha manifestato o non sviluppo di tumore o sviluppo di tumore ma con meno nodularità. Ugualmente, nel gruppo trattato anche con Lycopodium, sono state osservate un numero ridotto di mitosi e un minor numero di anomalie delle teste degli spermatozoi. Ma anche l'incremento delle transaminasi, della fosfatasi alcalina è stato più contenuto nel gruppo Lycopodium. Nel contempo, nello stesso gruppo trattato con Lycopodium, si è osservato un aumento del livello di glutatione ridotto che ha un'azione protettiva regolando le proliferazioni cellulari e le difese della cellula. Gli Autori si domandano come sia possibile che diluizioni extramolecolari di Lycopodium prive di ogni ipotetica molecola possano funzionare. Khuda-Bukhsh propone l'ipotesi che Lycopodium possa influenzare qualche gene. Nell'esperimento riportato, per esempio, tutti i markers citogenetici e biochimici testati sono sotto l'influenza di uno specifico meccanismo regolatore genetico. Un'altra riflessione espressa dagli autori è che il fegato è un target critico del tratto gastrointestinale ed esso è pertanto un importante target di farmaci e sostanze chimiche che possono generare tossicità in esso. Così, un'azione detossificante potrebbe avere un notevole importanza di fronte alla resistenza a questi agenti patogeni. Dunque, qualunque medicinale che possa antagonizzare gli effetti epatossici può diventare un buon candidato per una terapia di supporto in molte forme di malattia del fegato incluso il cancro. Pertanto, anche Lycopodium 30CH potrebbe, se altri studi supporteranno i dati, essere raccomandato nella terapia del tumore.
Questi i contenuti dello studio ed ora, tra le tante riflessioni che si possono trarre dalla lettura di questo sorprendente lavoro di ricerca, due mi appaiono fondamentali: la prima riflessione è che più medicinali omeopatici, hanno, come Lycopodium in questo caso, dimostrato di possedere una propria "autonomia terapeutica" che prescinde dalla regola della similitudine omeopatica, almeno nella sua accezione corrente e, dunque, prescinde dal metodo omeopatico utilizzato per la loro prescrizione. Questa (indubbia) farmacologia omeopatica deve fare riflettere, particolarmente coloro che spendono fin troppe energie per affermare la supremazia di una tecnica prescrittiva su un'altra , quando non addirittura la unica validità di una unica tecnica prescrittiva del medicinale omeopatico. La seconda riflessione è che, per quel poco che oggi sappiamo dei geni e della loro attività, non sembra possibile escludere una sorta di "comprensione", di "dialogo" tra il nostro sistema genetico e le dosi, molecolari o ultramolecolari, dei farmaci omeopatici. Cento anni di indagini dedicate tutte alla farmacologia delle dosi ponderali, anzi, più spesso all'azione delle overdose di farmaco hanno prodotto la nostra farmacologia convenzionale. Speriamo che nei prossimi anni si avviino anche ricerche sulla farmacologia delle piccole dosi, un mondo che, è indubbio, possiede molte ulteriori risorse terapeutiche.

Fonte:
Molecular Cell Biochem, 2006, 285, (1-2), 121
Articolo di Simonetta Bernardini
da "Omeopatia33" del 30 novembre 2006
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